Sulla tomba di Chiara Luce
La mano sulla frase del Vangelo, che campeggia sulla lapide di Chiara Luce Badano, è quella di una giovane musulmana di origine iraniana. “Chi rimane in me e io in lui, questi porta molto frutto” è la scritta in rilievo sul marmo bianco, sfiorata da dita abituate più alle parole coraniche che a quelle di Gesù. Eppure anche lei è davanti alla tomba della giovane beata di Sassello con una richiesta silenziosa e una commozione evidente.
La segue Lorenzo, musica perenne nelle orecchie, in cerca di un’entità soprannaturale che non esita a raccogliersi, rispettoso, davanti alla foto sorridente di Chiara. Un giovane religioso lascia sulla soglia della cappella la medaglia appesa poco prima al collo e s’inginocchia in un dialogo intimo, incurante della decina di giovani che attendono il turno per salire i gradini che portano alla tomba di Chiara Luce.
Oggi è il giorno liturgico della festa di Chiara Luce Badano, 19 anni vissuti intensamente nella gioia e nell’entusiasmo della giovinezza, intrecciati al dolore di una malattia grave che la porterà alla morte, senza spegnere il suo sorriso, anzi suscitando attorno al suo capezzale una catena d’amore concreto, di rinnovamento esistenziale, di attenzione ai poveri che da Sassello, in Liguria, ha raggiunto tutti i continenti. La riscoperta del Vangelo, di un Dio amore che accompagna anche i percorsi più ripidi e difficili della vita di Chiara, l’attenzione verso ogni prossimo sono un marchio che ha lasciato anche in chi ha vissuto con lei.
Si ritrova in Aldina, la vicina di casa che racconta i capricci e le altezze spirituali di questa santa dei giovani. Sono il distintivo di Giuliano, proprietario di un bar del centro e compagno di scuola di Chiara che tiene un album con tutte le loro foto, incluse le feste e le uscite dopo i primi trattamenti di chemioterapia. Quando normalmente si pensa a un santo, scorrono nella testa immagini di ben altri secoli: iconografie, candele, agiografie, reliquie. Qui invece incontri, in piena salute, gli amici di sempre, quelli delle scampagnate e dei compiti difficili, i vicini di casa, i genitori: tutti testimoni di questa santità quotidiana e sorprendente.
«Chiara spaccava il minuto in quattro per riuscire ad accettare la fatica e i dolori degli ultimi mesi perché ogni 15” è più facile dir di sì a Dio». Questa confidenza la racconta sugli scalini della chiesa di Sassello, il papà Ruggero a un nugolo di giovani dei Focolari provenienti da Roma e dall’Abruzzo che incuranti del lungo viaggio e del freddo inatteso sono arrivati come moderni pellegrini da Chiara. Si sorprende ancora pensando ai mesi «di grazia vissuti. Chi poteva immaginare?», continua a ripetere a un giovane siriano di Oms che non riesce a tornare nella sua terra, ma anche una studentessa che combatte con la stessa malattia di Chiara: un osteosarcoma. La storia di questa ragazza continua a far breccia nel cuore di molti, giovani e meno giovani, che sulla sua tomba depositano fiori, preghiere, domande e anche silenzi carichi di attesa. Non ci sono ore o stagioni o giorni preferiti: la cappella con le porte perennemente aperte – come Chiara Luce stessa desiderava – è sempre un tripudio di colori per i fiori, i biglietti, i pupazzi.
Niente di lucubre o cimiteriale perché davanti a questa lapide si canta e non si piange e non è insolito in questo minuscolo camposanto sentire lingue le più varie intonare poesie, raccontare testimonianze. Questo week-end quasi in 600 ragazzi dalla diocesi di Torino sono accorsi a Sassello, mentre oggi in tutto il mondo la ricordano con messe, concerti, fiaccolate, serate all’università, segno che Chiara Luce è una di loro, è una di questo tempo.