Sul sentiero di Cicely

Un “carisma medico” attraversa il XX secolo. Il “dolore globale” e la creazione degli hospice

Nel 1937 Cicely Saunders ha 19 anni e una profonda inquietudine: perché il dolore? I valori tradizionali non le bastano, per cui si iscrive al corso di filosofia dell’università di Oxford, senza trovare, però, una risposta soddisfacente. Cerca un’altra strada, che la porta ad attraversare tutto il XX secolo, diventando una delle figure più importanti e rivoluzionarie nella storia della medicina moderna per l’approccio al dolore e alla sofferenza. Fino al 1981, quando sul palco prestigioso della Guildhall di Londra, riceve il premio Templeton, il cosiddetto “Nobel della spiritualità”.

 

Infermiera, assistente sociale, medico

La vita di Cicely è straordinaria, fin da quando, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale, diventa un’infermiera “speciale”, sempre alla ricerca dei più sofferenti, degli scartati, degli “inguaribili”. Frequenta le strutture che si occupano dell’accoglienza dei malati destinati a morire, osserva le modalità di somministrazione dei derivati dell’oppio per lenire le sofferenze. Attraverso l’incontro, cercato, con l’uomo sofferente, si fa strada in lei una nuova prospettiva di spiritualità, che condivide con le suore cattoliche del St. Luke Hospital, con i pastori anglicani della sua comunità, con molti amici ebrei, credenti e non credenti con cui si confronta e dialoga. Le sue colleghe osservano con stupore la sua ricerca degli “ultimi”, ammirano le sue capacità di cura del “corpo malato”.

Poi, a seguito di un forte mal di schiena, lascia il lavoro di infermiera e diventa assistente sociale. Un ruolo originale per l’epoca, che la porta ad entrare nelle case e nelle famiglie, scoprendo un’altra dimensione del dolore: la povertà e soprattutto l’impoverimento legato alla malattia. Capisce l’importanza delle “reti” sociali, familiari e comunitarie. Anche in questo lavoro è apprezzata per concretezza ed entusiasmo.

Ma ha nostalgia dei “suoi” malati. Il medico che lei accompagna, Barrett, le dice: «Signorina, vada a studiare medicina. Perché sono i medici quelli che trascurano i morenti!».

Così inizia una nuova avventura: a 40 anni diventa medico, un “grande” medico, universalmente riconosciuto e stimato. I suoi articoli sulla “terapia del dolore” sono i capisaldi di una nuova specializzazione: elabora il moderno approccio delle cure palliative basato sulla collaborazione in équipe tra diverse figure professionali, ciascuna con la propria dignità e autonomia.

 

Il segreto

Questo nuovo approccio non scaturisce da una riflessione a tavolino o nei laboratori, ma negli incontri quotidiani con malati, famiglie, curanti. Fin dal primo decisivo incontro con David, giovane ebreo polacco, agnostico e solo, incontrato negli ultimi mesi di una vita segnata da disperazione e apparente mancanza di senso. Una storia di intima condivisione, alla fine della quale David lascia a Cicely tutto ciò che ha: un orologio e 500 sterline, affinché lei realizzi la sua idea, l’hospice per i malati terminali. «Sarò una delle finestre della tua casa», le dice. Cicely lo ricorda nel discorso per il premio Templeton: «Ci vollero 19 anni per costruire la casa intorno a quella finestra». Ma da quell’idea nel 1967 nascerà il primo hospice moderno, il St. Christopher di Londra.

Nella sua lunga vita la Saunders sviluppa le intuizioni scientifiche con una grande capacità di cogliere spunti dai momenti vissuti con i malati. Ne è un esempio il concetto di “dolore globale”, da considerare nelle sue dimensioni non solo fisiche, ma anche psicologiche, sociali e spirituali, descritto per la prima volta dopo l’incontro con una paziente, Hinson. O la riflessione sul tempo, nel rapporto con Antoni, altro paziente “decisivo” nella sua storia personale: «Si può vivere un’intera vita in un attimo… Le ore buone e ricche restano per sempre. Le altre svaniscono in un nulla». Per lei non esistono “malati terminali”, ma “persone vive” da guardare e curare (anche con gli opportuni sedativi per il controllo del dolore): «Sei importante fino all’ultimo istante della tua vita». Da questa visione dell’uomo nascono le sue forti prese di posizione contro i progetti di legge sull’eutanasia, che renderebbe ancora più fragili i soggetti deboli. La sua risposta è concreta: nei dibatti invita a visitare gli hospice, incontrare i malati, le loro famiglie e la comunità dei curanti. Cicely Saunders è morta nel “suo” hospice, nel 2005: «Sono stata infermiera, assistente sociale, medico. Ma la cosa più difficile di tutte è imparare ad essere un paziente».

PER SAPERNE DI PIÙ

S. Du Boulay – Cicely Saunders: l’assistenza ai malati ‘incurabili’ – Jaca Book

Miccinesi, Caraceni, Garetto, Zaninetta, Maltoni – Il sentiero di Cicely Saunders: la ‘bellezza’ delle cure palliative – RICP La Rivista Italiana di Cure Palliative – Primavera 2017

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