Sul filo dell’in-finito
Classe 1947, cuore straordinariamente giovane, Agostino De Romanis dalla natia Velletri ha spaziato per il mondo e per la dimensione dell’arte: pittore, disegnatore, scenografo, scultore. Non si può dire che la sua produzione sia concentrata su un solo aspetto dell’esistenza, perché in realtà De Romanis ha una fame e una sete di infinito che tocca ogni cosa, della storia passata e presente, della letteratura e della poesia. Se si potesse concentrare in un solo termine il mondo poetico di questo artista poliforme forse si dovrebbe usare una unica parola: incantamento.
Si trova fin dagli anni Settanta, in una tela come il Ragazzo seduto (1974), perduto nella dimensione del sonno o nella onirica Rinaldo dormiente (1976) , stupenda rivisitazione dell’eroe tassesco fra surrealismo e metafisica, eppure così personale e così bella nell’espressione del “sentimento perduto”. Questa indagine sul “perdere” si ritrova nel Cristo, uomo croce (1980), (foto) opera che tradisce citazioni colte (Grunewald e i nordici, ad esempio), ma che il maestro vivifica nell’originale accorpamento di umanità e dolore come corpi parlanti, dove il crocifisso velato e scheletrico è da solo un grido poetico di forte suggestione.
C’è in De Romanis costante un sentimento pure di in-compiutezza. Non nel senso di non-finito o non-finibile, ma di in-soddisfazione, perché la sua ricerca appare tesa a qualcosa di immenso, di troppo grande, perciò il sonno e il sogno diventano in qualche modo “rivelazione”. Nelle Metamorfosi (1987) si fa evidente la dialettica morte-vita, sonno-risveglio con i due corpi “fatti uno” maschile e femminile che trasmettono nascita e fine, abbandono e risveglio nel disegno tornito, “michelangiolesco” e nel colore a vaste spazzolate chiare: come fossimo in una palingenesi di un mondo nuovo.
Tutto ciò porta la mente – e il corpo – a viaggiare. Nel viaggio nell’estremo Oriente, De Romanis coglie nuove sfumature, nuovi raggiungimenti della sua insaziabile voglia di libertà e di infinito che vengono trasmesse immediatamente nelle sue opere, dove in verità si recupera tutto: l’esotico, il fiabesco, l’onirico e lo spirituale.
Nell’ultima attuale rassegna romana – una delle molte dell’artista – è l’aspetto interiore che si espande, diremmo l’Anima, con la maiuscola. Non è piccola l’interiorità di De Romanis. Nasce dal Rimpianto (terracotta smaltata, 2016) il suo canto? C’è bisogno di un angelo biondo (2006) ad aprire dubbioso altri orizzonti? Certo la fantasia – diremmo “dantesca” – del pittore ama cavalcare su e giù per i cieli (1991), in volo verso un mondo felice (2003), come fosse un cavaliere dell’infinito (2006). E sotto questo aspetto sembra che la Sicilia sia per Agostino quasi una immagine, nei suoi contrasti violenti di forme e colori, nell’incendio dei corpi, della sua folle corsa verso l’eternità, verso ciò che non può finire.
Ecco allora l’artista guardarsi “dentro” nella verità in quell’olio su carta così denso “L’albero narciso” (2006), inquietante ed inquieto per poi attingere nelle ultime opere a una stupenda variazione sinfonica di colori e di forme non più “tattili”, ma “spirituali”, di cavalieri che volano sui numeri (2013), del rosso-blu Grido di dolore (2015) e di quella tela tanto fosforescente ed alta quale è L’albero dalle nove stelle (2013). Un fusto candido che “buca” il cosmo stellato entro cui si innalza il Sole della vita in-finita. C’è una commovente poesia dell’anima: De Romanis dice la sua e nostra mai sazia voglia di cielo, la corsa per trovare l’”Uno”, il punto di convergenza della vita, ossia la luce irradiante di un Essere superiore.
Catalogo illustrato Il Cigno edizioni, a cura dello specialista Roberto Luciani.