Sul filo della povertà

FAMIGLIA E SOCIETÀ L’Italia tira la cinghia. Nell’ultimo anno, metà paese ha visto peggiorare la propria condizione di vita. Secondo l’Istat le famiglie povere sono dodici su cento. Trecentomila in più rispetto al 2003. Ad esse fa seguito una lunga coda di cometa che naviga nello spazio dell’incertezza e del disagio. Vivono stringendo i denti mese per mese e combattono per non scivolare sotto il confine dell’indigenza. Ossia quando per i bisogni primari, come alimentazione, casa, abbigliamento e istruzione, non si spende più di 920 euro mensili in due. Spacci e discount per gli acquisti, niente spese extra, fine settimana sacrificato ma, se capita un imprevisto come una malattia, una maternità, precipitano sul fondo. Le hanno dato un nome: nuove povertà. Ma nessuna risposta al come salvarsi. Molti centri di aiuto come la Caritas riscontrano il disagio di famiglie considerate normali che, pur avendo un’occupazione, stentano a mettere insieme pranzo e cena. Il Sav (Servizio accoglienza alla vita) di Bologna offre un’abitazione e vario aiuto alle ragazze madri – dice Giuliana Baldacci -; ha accolto anche una famiglia che non può essere autonoma: lui ha un contratto a tempo determinato di 900 euro al mese e lei, che ha avuto il secondo bambino, fa un part-time. Sono casi che andrebbero risolti. Ma siamo in altomare. Intanto più di qualcuno affonda… Chi sono La povertà peggiora tra gli anziani, la cui incidenza è più che raddoppiata, passando dal 4,2 al 10 per cento. Quando ho conosciuto Maria, 77 anni, erano sei mesi che le era morto il figlio – racconta Angela che collabora con la Caritas -. Prima viveva con lui a Roma e non aveva problemi economici. Aveva una tintoria e lui lavorava come portiere d’albergo a Via Veneto. Mamma, lascia perdere, lavoro io. E invece, si è subito ammalato. È stato sei mesi a combattere. Poi l’ha lasciata, sola e senza un cente- simo: i soldi da parte hanno fatto presto a sparire tra la malattia e il funerale. L’Inps le dà 516 euro di pensione minima, ci è rientrata perché non ha casa né alcun altro reddito. E ne paga 400 di affitto. Quello che fa Angela per lei è difficile dirlo in poche righe. Molte giovani coppie sono spesso in condizioni di bisogno. Nel 2003 erano povere solo il 2,8 per cento, ora sono il 5,5. I loro sogni rosa sono i primi a scontrarsi col nero di un futuro incerto: La nostra difficoltà è non sapere quanto sarà il guadagno, dice Luigi, da poco sposato, che ha aperto un locale l’estate scorsa. E, dopo l’investimento iniziale, comincia ora a vedere qualcosina. Il carovita, raddoppiato in pochi anni, schiaccia anche i lavoratori dipendenti. Luca, ad esempio, è autista di pullman a Milano, una città impossibile da questo punto di vista. Con 1400 euro al mese, che non è poco perché la categoria è ben pagata, ha tre figli e la moglie a carico. Se vivesse lì, dove lavora, ne spenderebbe 1000 solo di affitto, ma abita a un’ora di distanza, vicino a Crema. Cosa fanno Molte famiglie cercano di organizzarsi tra di loro – dice Ermes Rigon del Forum delle Associazioni familiari di Bologna -, per fare scudo contro la disoccupazione e la precarietà. Si tengono collegate in modo che le necessità e le richieste vengano rese comuni. Alcune si prendono il compito di seguire quelle più in difficoltà. Si danno da fare per cercare lavori e per stare loro vicino. Ma il problema andrebbe risolto alla radice. L’economia ristagna. La società è ostile. Magari ti promettono il bonus per il bebè, ma poi capita che sei licenziato o non hai il lavoro. Troppo spesso i discriminati sono una nuova categoria che non è né uomo né donna, ma il coniugato, chi tiene famiglia. Le aziende preferiscono chi non dà problemi, ma dà la totale disponibilità. La famiglia di Paolo, tre figli, è stata costretta a cambiare improvvisamente il proprio stile di vita. Lui, avvocato, lo scorso aprile è stato licenziato. È bastata una scusa qualsiasi, in realtà avevano bisogno di ridurre il personale. Quel giorno, è tornato a casa che non aveva coraggio di dirlo alla moglie, infermiera. Dopo sei mesi, terminati i risparmi, è ancora senza un impiego: con una laurea non è facile, quando si sono passati i quaranta. Gabriella, invece, laureata da tre anni, da pochi giorni lavora part-time in una s.p.a. Ho ottenuto il contratto perché davanti a tante situazioni sono stata zitta – dice – non ho mai preso un giorno di malattia, niente ferie a Natale. Perché, al di là delle competenze, guardano a questo. Ma quando le hanno detto vacci piano coi figli , non ha ascoltato: è al terzo mese di gravidanza. Sorride, ammiccando alla culla già pronta. Il sogno? Una casa tradizionale: due camere, due bagni. In affitto, naturalmente. Comprarla è impossibile, fai il mutuo e non vivi più. Ma anche gli affitti sono un sogno. Quando non c’è la stabilità economica o si guadagna poco, un figlio diventa una scelta coraggiosa. Un lusso. Nelle coppie con uno o due figli, l’incidenza della povertà passa dal 9,1 al 13,9 per cento. Le famiglie numerose (di cinque o più componenti) sono povere nel 24 per cento dei casi. Al sud, è povera una famiglia su quattro. E quando ci sono due o tre figli, quasi una su due. Tina e Antonio, fanno 32 anni di matrimonio. Vivono nella periferia di Napoli: lui è operaio, lei collaboratrice domestica, e fa anche la cantante. Classici napoletani: un matrimonio, una serata, una ricorrenza. Tutte buone occasioni per arrivare a fine mese. Visto che hanno quattro figli. Il primo – raccontano – è laureato in architettura, ma mica sta lavorando, il secondo fa il falegname e riesce a pagarsi le spese personali. Il terzo è grafico, ma si è dovuto comprare la macchina, il quarto studia. Ci sono stati periodi in cui sono rimasti senza lavoro, la fabbrica di scarpe ha chiuso ed ha messo per strada 70 operai tra cui loro due. Grazie al sostegno delle famiglie amiche e poi al banco alimentare della Caritas, sono riusciti ad andare avanti. A rimanere uniti. La solidarietà Chiudersi in sé stessi, vergognarsi non risolve il problema economico, anzi lo acuisce. È stato un dolore dover spiegare ai bambini – dice una mamma – che non potevamo comprare un paio di pantaloni di cui aveva bisogno il più grande. Passando davanti ad una chiesa siamo entrati ed ho messo tutto nelle mani di Dio, sicura della sua provvidenza. Parlando con un’amica le ho confidato questa mia preoccupazione. Poi insieme siamo riuscite a trovare una soluzione per il mese. Per aiutarsi le famiglie bisognose di Napoli le hanno inventate di tutte. Una famiglia si è messa d’accordo coi supermercati per avere le verdure di prossima scadenza, non possono essere vendute, ma sono buone. Poi le distribuisce a tanti in necessità. A volte vedo nei giardini la frutta che cade per terra e non viene raccolta – dice Tina -. Come è bella, ma non la usate? Posso venire a prenderla io? conosco tante famiglie. E così si fa un giro…. C’è poi un’altra famiglia a cui ogni tanto portano dei fondi di negozio, vestiti nuovi con l’etichetta, ma difettati (manca un bottone, un punto, è scucita una piega). I grossisti devono toglierli, allora si va a caricare la macchina, non solo per sé stessi. Dobbiamo lottare e qualche volta abbiamo l’impressione di non farcela. – Dice un’altra coppia -. Ciò che è importante per noi è sapere che siamo parte di una comunità. Questo ci rendi forti. I vestiti dei bambini che non servono più passano da una famiglia all’altra. Così i giocattoli, i mobili. Cerchiamo di coinvolgere i figli. E loro imparano il valore dei beni, a vedere le necessità degli altri, ad essere felici quando ricevono, ma anche quando possono donare. Questa è un’educazione preziosa che si apprende in famiglia, vivendo tra famiglie e apre gli occhi sulla vita. È incredibile pensare che famiglie in difficoltà abbiano la possibilità di dare a loro volta. Invece, hanno imparato a fidarsi della Provvidenza. A vivere per gli altri. Si è venuto creando così, nonostante l’ostilità del contesto sociale, un tessuto positivo che ha l’effetto di un mantello caldo in un rigido inverno. Tuttavia occorre giustizia. Per il futuro, la comunità sociale e politica deve investire molto di più sulla famiglia. Essa produce quei beni imprescindibili che sono l’educazione e la solidarietà. Produce capitale sociale, perché mettere al mondo un figlio non è un interesse personale. Anche se oggigiorno si preferisce considerarla come soggetto di consumo. I FIGLI, UN LUSSO Crescono le coppie senza figli e il numero medio dei componenti è 2,7. Ma, c’è una differenza significativa tra il numero dei figli desiderato e quello effettivo. Ne vorrebbero di più il 47,7 per cento delle donne di età compresa tra i 30 e i 36 anni. Occorrono gli strumenti per far fronte alle difficoltà di conciliare lavoro e famiglia: disponibilità di servizi di custodia, mercato del lavoro favorevole, politiche fiscali mirate. (Nono rapporto Cisf sulla famiglia in Italia). SPOSARSI,UN SOGNO La paura della povertà spinge verso un tetto sicuro. l’81,2 per cento di ragazzi e ragazze dai 18 ai 34 è in cerca di un lavoro e quando lo trova il 56 per cento di loro resta con i genitori.Dove i benefici economici e sociali prevalgono sui bisogni affettivi. I contratti sempre più precari, i lavori intermittenti, senza indennità per ferie, malattia o vacanze, costringono il 20 per cento dei 33-37 enni che si erano emancipati a tornare in famiglia. (Eurispes).

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