Sul colle del martirio

San Pietro in Montorio sul Gianicolo. L’ultima e più completa pubblicazione sul Tempietto del Bramante, capolavoro rinascimentale dell’architetto marchigiano

Quanti e quali eventi mitici e di rilevanza storica non si svolsero sul Gianicolo, nell’attuale rione Trastevere, a partire dalla più remota antichità! Luogo di sepoltura, fa l’altro, di re come Numa Pompilio e Tullio Ostilio nonché di poeti come Ennio e Cecilio Stazio, il colle ospitò anche culti arcaici locali e importati dal Vicino Oriente. Secondo una tradizione, san Pietro fu crocifisso proprio qui e segnacolo del suo martirio è oggi la chiesa di San Pietro in Montorio con annesso convento, consacrata nel 1500 per impulso di papa Alessandro VI Borgia in sostituzione di un più antico e fatiscente monastero. Contribuirono generosamente alla fabbrica, affidata all’ordine dei frati minori, i re cattolici di Spagna Ferdinando II di Aragona e Isabella di Castiglia.

Non poche vicissitudini subì durante i secoli questo complesso a motivo della sua posizione strategica; tra gli ultimi, i gravi danni e saccheggi ad opera dei francesi di Napoleone III, intervenuti a soffocare la seconda Repubblica Romana del 1849. Durante la difesa del Gianicolo la chiesa rinascimentale fu utilizzata come ospedale, e pertanto rinominata burlescamente dai romani “San Pietro in Mortorio”. Nel 1876 il convento fu ceduto dallo Stato italiano alla Spagna, che da allora l’ha destinato a sede della Reale Accademia di Spagna a Roma.

Quando scoprii questa chiesa rimasi colpito dai tanti artisti del XVI e XVII secolo che l’avevano impreziosita col loro genio: Sebastiano del Piombo, il Pomarancio, Baldassarre Peruzzi, Giorgio Vasari, Bartolomeo Ammannati, Bernini… Fino al 1797 era presente anche Raffaello con la sua celebre Trasfigurazione, ora nella Pinacoteca Vaticana, che figurava sull’altar maggiore: trafugata in Francia e in seguito restituita nel 1816, è ora sostituita da una copia della Crocifissione di san Pietro di Guido Reni realizzata da Vincenzo Camuccini.

E poi il Tempietto del Bramante, davanti al quale ebbi la percezione di quanto l’immagine fotografica conosciuta non rendesse la realtà di una struttura così armonica nelle ridotte proporzioni da sembrare perfino imponente: quasi ingigantito ciborio d’altare in travertino, marmo e muratura. Mortificato in un chiostro rettangolare che mi sembrò troppo angusto, il memoriale del primo apostolo mi fece pensare ad una palma del genere Washingtonia che avevo ammirato in un cortiletto dal quale sembrava voler evadere col suo slanciarsi verso l’alto. Ignoravo, all’epoca, che il Bramante aveva immaginato attorno ad esso un chiostro circolare colonnato che ne avrebbe esaltato la perfetta simmetria dell’impianto e la centralità: progetto mai realizzato per il costo dell’impresa.

Tra le prime opere romane del geniale architetto marchigiano, reduce dalla corte ducale di Ludovico il Moro, il Tempietto ha corpo cilindrico scavato da nicchie e circondato da sedici colonne tuscaniche sulle quali corre una trabeazione decorata con triglifi e metope, cui si sovrappone una leggiadra balaustra a colonnette; sul tamburo superiore alleggerito da finestre e nicchie si curva la cupola semisferica col suo coronamento cuspidato. Ispirato palesemente ai modelli classici di cui Roma e dintorni abbondavano, ma rielaborati con la libertà e la sensibilità di un artista del primo Cinquecento, questo felice esempio di “nuovo” nell’”antico” è divenuto icona del tempio rotondo al di là del suo tempo, tra le architetture più ammirate e studiate non solo di quel secolo.

Carico di suggestioni è il ridotto spazio interno dai toni caldi e chiari, dove sul pavimento policromo gioca la luce colorata che piove dalle vetrate. Di fronte all’ingresso spicca l’altare sormontato da una statua ottocentesca di san Pietro. Ben più interessante è il rilievo marmoreo della predella: risalente all’epoca della fondazione, raffigura la crocifissione dell’apostolo a testa in giù affiancata dalle insegne araldiche dei re spagnoli: le stesse che ricorrono anche sulla faccia anteriore dell’altare dove è rappresentata l’arca di Noè, immagine della Chiesa che naviga tra i flutti della storia. Da rampe esterne che interrompono i gradini dello stilobate sul quale poggia il Tempietto è possibile accedere all’ambiente ipogeo sottostante e da un pozzetto ricavato sul pavimento a intrecci di tipo cosmatesco gettare uno sguardo alla sabbia del Gianicolo, quasi per un contatto più diretto col luogo del martirio di Pietro.

Questo e molto altro è oggetto del grande volume a cura di Flavia Cantatore Il Tempietto di Bramante nel Monastero di San Pietro in Montorio. Edita da Quasar, quest’ampia raccolta di saggi di studiosi di fama offre inediti punti di vista sulla committenza, sulla datazione, sulla progettazione e sulle caratteristiche costruttive del monumento, a partire da approfondite ricerche storiche, da indagini condotte con l’uso di diverse tecnologie, nonché dai nuovi rilievi relativi ad esso e all’intero complesso monastico. Non manca uno spazio dedicato alle interpretazioni e ai restauri effettuati fra Seicento e Ottocento fino agli ultimi del Novecento, in vista del Giubileo del Duemila. Il volume, la più completa ed aggiornata esposizione su questa realizzazione del Bramante, si segnala anche per il ricchissimo apparato iconografico.

Un’opera, dunque, che aiuta ad entrare nel segreto di un’opera architettonica che, lungi dall’essere accademica copia di un mausoleo all’antica, si rivela originale e vitale per un insieme di fattori che il più attento e sensibile spettatore può soltanto intuire. Del resto, osserva l’architetto Carlo Bianchini a conclusione del suo contributo Quale regola per il Tempietto?, «come in qualunque capolavoro che si rispetti, non tutto probabilmente può essere svelato».

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