Suicidio, i fattori di rischio

Quali le cause di gesti così estremi? Cosa si può fare per prevenire? Intervista ad Antonella Spanò

Venerdì 10 giugno un suicidio ha scosso la città di Palermo: una ragazza di soli 26 anni si è lanciata da un ponte. Altri suicidi sono avvenuti, in questi mesi, in altre parti d’Italia. Basti pensare alle carceri: ci sono stati finora 29 casi nel 2022.

Ogni morte infausta, soprattutto dei giovanissimi, dovrebbe imporre una riflessione: «Come impostiamo i rapporti umani? Prestiamo attenzione a chi ci sta accanto? O pensiamo che le persone intorno a noi siano tutte dei super-eroi, in grado d’uscire indenni dalle loro vite forse infelici?». Ne abbiamo discusso con Antonella Spanò, psicoterapeuta palermitana.

Il tema del suicidio rappresenta una delle più drammatiche espressioni del disagio sociale. Quali fattori possono portare un giovane a compiere un gesto così estremo?
È importante riflettere sul tema del suicidio perché più impariamo, più saremo in grado di comprendere cosa potrebbe portare un adolescente al suicidio e aiutarlo. I fattori di rischio sono molteplici: la presenza di disturbi psichiatrici, quali depressione, disturbo d’ansia, disturbo bipolare o disturbo oppositivo provocatorio, ma anche l’essere stati vittima di violenza, abuso, bullismo o cyberbullismo, avere una storia familiare di disturbi dell’umore, o storie di suicidio, l’abuso di alcool o droghe, ma anche non avere una rete di relazioni in grado di sostenere.

A quali segnali d’allarme occorre stare attenti, per evitare un suicidio?
I tentativi di suicidio avvengono generalmente dopo eventi stressanti: la separazione dei genitori, una bocciatura, un lutto, una grave perdita. I campanelli d’allarme cui dobbiamo prestare attenzione sono la depressione, il pianto, l’irritabilità, la perdita di speranza, gli sbalzi di umore, la perdita di peso, l’iperfagia, i disturbi del sonno, il perdere interesse per le attività, avere difficoltà a concentrarsi, l’isolarsi, la bassa autostima. Bisogna prestare attenzione a questi segnali e cercare di parlare con l’adolescente o, se non vuole confidarsi con noi, farlo parlare con uno psicologo.

Molti adolescenti soffrono di repentini disturbi dell’umore. Un giorno appare chiaro, l’altro tutto nero. Da cosa dipende questa instabilità?
L’instabilità emotiva e gli sbalzi d’umore sono frequenti in adolescenza e non devono necessariamente preoccuparci, perché sono parte di un processo di crescita. Il compito degli adulti è offrire loro sostegno, far sentire ai nostri ragazzi che possono contare su di noi, che li amiamo anche quando litighiamo.

Molti genitori si sentono degli sconfitti, come se il loro amore desse noia, e tanti ragazzi si drogano o, come in questo caso, decidono di togliersi la vita…
È difficile immaginare cosa accade nella mente di chi vuol farsi del male, fino a voler addirittura morire. Molti fattori si combineranno tra loro, e non dipendono magari dal genitore. Fra questi, s’inserisce la depressione, la perdita del lavoro o di una relazione. Sentire di non aver più speranza, che tutto sia finito e che niente potrà cambiare le cose, può fare percepire l’ipotesi del suicidio come la via per porre fine alla sofferenza. Dentro questo vuoto interiore, tutta la bellezza che ci circonda e le persone che ci amano vengono risucchiate nell’oscurità. Le ricerche, però, hanno mostrato come un buon supporto familiare e sociale sia associato a una diminuzione delle probabilità di ideazione suicidaria. Quello che dobbiamo proporre ai nostri giovani, alle persone che vivono una profonda sofferenza o solitudine, è una rete di relazioni che diano stabilità e conforto.

Cos’è più tollerabile per un essere umano: la rottura di un amore o di un’amicizia?
Noi nasciamo nella relazione e viviamo immersi nella relazione. L’altro ci consente di riconoscerci vivi, importanti. Per tale motivo perdere una relazione amorosa o amicale è sempre doloroso. Quel quotidiano che si condivideva, le confidenze reciproche, i giochi e le risate non ci saranno più. Diventa importante portar dentro il positivo appreso dal rapporto, cancellare il resto.

Può il suicidio essere il risultato di un atto improvviso, di una bravata?
Negli ultimi anni purtroppo si è diffusa la pratica dei giochi mortali sui social media. I ragazzi si sfidano a compiere gesti sempre più audaci per avere una maggiore popolarità. Il choking game, ad esempio, consiste nel provocarsi asfissia; il blackout challenge è una prova di resistenza che prevede di legarsi una cintura attorno al collo e resistere per più tempo possibile. Quest’ultimo gioco pare abbia provocato anni fa la morte di una bambina di dieci anni proprio a Palermo. Sarebbe importante che i genitori si impegnassero a guardare i programmi o i video insieme ai loro figli per poi discuterne.

Come può un genitore elaborare il lutto di un figlio, senza morire anch’egli dentro?
Per un genitore la morte di un figlio è innaturale. Perdere un figlio per suicidio è straziante. Far fronte al dolore e ai sensi di colpa è un processo lungo. È importante non isolarsi, cercare supporto tra le persone che ci amano, chiedere aiuto e sostegno anche a gruppi di supporto o professionisti. E, soprattutto, imparare pian piano a liberarsi dei sensi di colpa perdonandosi e perdonando.

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