Suicidio assistito, facciamo chiarezza
Bisognerà attendere la pubblicazione del dispositivo della Sentenza per avere chiaro tutto il portato di questo pronunciamento.
Allo stato attuale, facendo riferimento al comunicato stampa possiamo dire che:
- La Corte costituzionale si è pronunciata “in attesa del Parlamento”, che quindi rimane il responsabile di una regolamentazione su questo aspetto particolare del fine vita che è la richiesta del suicidio assistito, fino ad ora non previsto dalla nostra legislazione.
- Legge sul “fine vita”: in realtà il Parlamento italiano ha legiferato ben due volte sull’assistenza del fine vita nel 2010 con la legge n. 38 sulle “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” e nel 2017 con la legge 219 che definisce le “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”. Due norme importanti che garantiscono al paziente l’accesso alla terapia del dolore e alla palliazione, e il diritto ad esprimere il rifiuto a terapie ritenute troppo invasive o gravose per il proprio stato di salute attuale o previsto. Tali dichiarazioni sono sempre modificabili. Alcune criticità di queste leggi sono una disomogenea accessibilità alle cure palliative sul territorio nazionale anche a causa del non finanziamento specifico di questa legge; l’inserimento della nutrizione e della idratazione artificiale (presidi di sostentamento vitale del paziente) tra le terapie cui si può rinunciare; l’assenza di criteri per validare correttamente la volontà espressa dal paziente. D’altro canto queste normative danno molta importanza alla relazione tra il paziente e la sua famiglia e l’equipe sanitaria, avendo coscienza che, soprattutto nelle fasi terminali della vita, questa relazione ha in sé una forza di cura.
- Riguardo l’art. 580 del Codice Penale che punisce l’istigazione al suicidio, non è stato dichiarato incostituzionale, ma sembra sia stata applicata la categoria della non punibilità quando esista il “proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
- La sentenza chiama in causa la legge 219/2017 che all’art. 1 comma 5 recita: «Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, (…) qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso». Allo stesso art. comma 6 afferma che «il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale», ma precisa che «il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali». Il suicidio assistito potrebbe rientrare in tale fattispecie aprendo all’obiezione di coscienza, altrimenti non considerata nel comunicato stampa?
- Un punto molto grave per le sue inevitabili conseguenze è poi l’affermazione secondo la quale si parla di non punibilità, subordinandola tra l’altro «alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Ssn, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente». Questo sembrerebbe dare al Parlamento una sovranità limitata, nel senso che la Corte stabilisca che nelle strutture pubbliche si eseguano suicidi assistiti e che una normativa dovrebbe semplicemente “regolare” tali procedure.
Per una più completa comprensione della Sentenza bisognerà leggere l’intero dispositivo quando sarà pubblicato, certo è che su una materia così grave si arriva senza un dibattito Parlamentare e introducendo in modo così definitivo una pratica che fino ad ora il legislatore non aveva ritenuto di autorizzare, essendosi pronunciato sempre a favore della vita del paziente, pur nelle limitazioni dell’avanzare di una patologia e dell’inefficacia delle cure, rifiutando ogni accanimento terapeutico, ma ricercando e assicurando la terapia del dolore e l’assistenza fino alla fine.
La partita è appena cominciata e andrà giocata nella sua sede naturale che è il Parlamento attraverso una discussione approfondita che, speriamo sappia tener conto della dignità della persona, della sua volontà, del rispetto della coscienza del medico e dell’importanza di garantire a tutti l’accessibilità alle cure palliative, rifuggendo la tentazione di considerare “scarti” coloro che vivono situazioni di grave disabilità, di fragilità estrema e che per questo hanno bisogno di essere accuditi di più e non avviati ad un prematuro e provocato, “esito finale”. Cosa che, con i gravi problemi di bilancio che il nostro servizio sanitario da anni soffre, potrebbe essere una subdola tentazione.