Sudan: l’esercito torna ai colpi di stato

Il golpe era nell’aria da tempo. Lunedì 25 ottobre, il generale al-Burhan ha sciolto il governo provvisorio vanificando due anni di transizione dopo la rivoluzione del 2019 che aveva deposto Omar al-Bashir, per 30 anni al potere.
Sudan's head of the military, Gen. Abdel-Fattah Burhan,peaks during a press conference at the General Command of the Armed Forces in Khartoum, Sudan, Tuesday, Oct. 26, 2021. Burhan said that some members of the government he dissolved in a coup could face trial but said that the deposed prime minister was being held for his own safety and would likely be released soon. (AP Photo/Marwan Ali)

Il governo di transizione del Sudan è stato spazzato via lunedì 25 ottobre da un colpo di stato dei militari, che non avevano quasi mai lasciato il potere. Il giorno dopo aver deposto il primo ministro Abdallah Hamdok, il generale Abdel Fattah al-Burhan ha dichiarato che la responsabilità di questo colpo di stato pesa sui civili, a causa delle loro divisioni. Il governo è stato sciolto, così come il Consiglio di sovranità, e prefetti e ministri licenziati. È stato dichiarato lo stato di emergenza in tutto il paese.

Il bilancio delle vittime è di almeno quattro morti e 80 feriti. Le persone sono state colpite dal fuoco aperto dall’esercito nella capitale Khartoum, lunedì mattina, durante le forti proteste che denunciavano il colpo di stato e l’arresto di quasi tutti i leader civili, ha dichiarato un esponente del sindacato dei medici sudanesi pro-democrazia. Nelle strade di Khartoum si respira una profonda delusione. «Il popolo ha scelto uno stato civile e non una potenza militare», hanno scandito i manifestanti a Khartoum.

In effetti, con l’impeachment nei confronti dell’ex presidente Omar al-Bashir, nel 2019, le persone avevano creduto in una nuova era per il loro Paese. La tanto attesa democrazia, bloccata dal 1989 quando Omar al-Bashir era salito al potere con la forza, stava finalmente per rinascere. Dall’agosto 2019, un Consiglio di sovranità composto equamente da civili e militari aveva preso il controllo del paese, promettendo le prime elezioni libere entro la fine del 2023.

Il primo ministro Abdallah Hamdok, sua moglie, molti dei ministri e tutti i membri civili del Consiglio di sovranità sono ancora sotto il controllo dei militari. Il generale al-Burhan ha riaffermato il suo impegno per la carta costituzionale, ma diverse misure di questa carta sono state sospese lunedì. Ha sostenuto che il Consiglio di sovranità sarà ricomposto inserendo nuovi membri civili in rappresentanza dei diversi stati del Sudan, oltre ai membri militari. Le nomine di questi civili saranno concordate con i funzionari di ciascuno stato.

Proteste per le strade di Khartoum contro il golpe militare (AP Photo/Ashraf Idris)
Proteste per le strade di Khartoum contro il golpe militare (AP Photo/Ashraf Idris)

Intanto, però, molti ambasciatori sudanesi all’estero stanno prendendo le distanze. Dopo l’ambasciatore a Washington, martedì 26 ottobre i rappresentanti sudanesi a Parigi, Bruxelles e Ginevra hanno firmato un comunicato congiunto, “condannando nei termini più forti” la presa del potere con la forza da parte dell’esercito.

Dopo una proclamazione di “disobbedienza civile”, migliaia di sudanesi si sono accampati nelle strade per protestare contro il colpo di stato militare. Affermano di voler “salvare la rivoluzione” che ha rovesciato il generale Bashir, e che è costata, a causa della repressione, più di 250 morti.

I colpi di stato militari erano all’ordine del giorno in Africa nei decenni successivi all’indipendenza, alla fine del periodo coloniale, e ora si teme che diventeranno nuovamente frequenti. Il Sudan ha vissuto due episodi di questo tipo quest’anno, uno a settembre che è fallito, e quello di lunedì scorso, in cui il generale al- Burhan ha licenziato i civili del governo di transizione e ha preso il potere.

È successo anche in Guinea, dove il presidente Condé è stato estromesso dall’esercito a settembre, e nel vicino Mali, dove l’esercito è intervenuto due volte in meno di un anno, l’ultima a maggio. In Niger, è stato sventato un colpo di stato a marzo, pochi giorni prima dell’insediamento presidenziale.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha condannato il “colpo di stato militare”, sollecitando “l’immediato rilascio del primo ministro Hamdok e di tutti gli altri leader” arrestati, e il rispetto della “carta costituzionale”.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons