Sud Sudan, conto alla rovescia

Il 9 luglio nasce ufficialmente il 54mo Stato africano. Direttamente da Tombura-Yombio, il quadro di queste ultime ore
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Mancano poche ore alla nascita ufficiale del 54mo Paese africano, il Sud Sudan. Tra scontri nel Kordofan e nell’Abyei – zona mineraria contesa tra Nord e Sud – e tensioni sui rapporti diplomatici e commerciali tra le due capitali, il timore che la data tanto attesa porti con sé altre violenze è concreto. Eppure la popolazione guarda con speranza a questo 9 luglio anche in una zona come la diocesi di Tombura – Yambio, dove l’analfabetismo raggiunge l’80 per cento e la mortalità infantile il 40.

 

«La gente è tranquilla – ci riferisce il giovane vescovo, il sudanese mons. Eduardo Hiiboro – e guarda a questo giorno come un dono di Dio». Rimane però la paura che nemmeno il nuovo governo sia in grado di garantire la sicurezza di fronte alle incursioni dei ribelli ugandesi della Lord’s Resistance Army (LRA), che negli ultimi cinque anni hanno provocato una media di 3 – 4 morti al giorno: «Uccidono, rapiscono, bruciano le case costringendo la gente a fuggire – riferisce il vescovo – e nonostante i numerosi appelli non abbiamo mai visto alcun piano per il dialogo e l’integrazione pacifica dei ribelli: dove sono, in tutto questo, i nostri governanti?». Piano che presupporrebbe la collaborazione con i Paesi confinanti, nelle cui foreste questi trovano rifugio.

 

Anche suor Maria Luisa, missionaria comboniana, conferma che «c’è tanta trepidazione e fiducia nel futuro, ma la gente non riesce ancora ad immaginarlo a causa di questa incertezza: per ora, si fa tanto pregare per la pace».

 

 

Inziare insieme una nuova vita

La diocesi ha per l’appunto organizzato una serie di iniziative di preghiera, tra cui una veglia ecumenica per la sera dell’8 luglio: «I rapporti con le altre confessioni cristiane sono ottimi – ci racconta mons. Hiiboro – così come quelli con i non cristiani e tra le varie tribù». Particolarmente significativa anche la “riconciliazione generale” promossa sempre per l’8 luglio, in cui membri di diversi gruppi etnici e diversi credo religiosi si laveranno reciprocamente i piedi: «Vogliamo entrare nel nuovo Paese “puliti”, ed iniziare una nuova vita».

 

Non solo preghiera

Ma non è solo sotto il profilo spirituale che la Chiesa dà il suo contributo alla costruzione del nuovo Stato: così come nella diocesi di Rumbek si è svolta l’iniziativa “10 passi verso l’indipendenza”, in quella di Tombura – Yambio sono state organizzate conferenze per la riconciliazione in collaborazione con il governo e corsi di educazione civica. Inoltre «stiamo portando avanti un dialogo con il nuovo ministero della salute – riferisce suor Maria Luisa, che lavora da cinque anni nell’ospedale locale. – Collaborare con il governo non è sempre facile, perché gli obiettivi a volte sono diversi: noi abbiamo sempre fornito servizi a tutti, credenti e non, di qualsiasi gruppo ed etnia, anche durante la guerra. Ora siamo pronti a qualsiasi evenienza». Anche il vescovo sottolinea che «la gente dal nuovo governo si aspetta prima di tutto ospedali, scuole e servizi sociali»: tutte necessità alle quali la Chiesa in questi anni ha cercato di provvedere.

 

La volontà di vedere la differenza

Sul lungo termine, tuttavia, il problema rimane quello dello sviluppo economico non solo di questa regione, ma di uno Stato che – attualmente – non ha nemmeno una strada asfaltata. Il governo ha annunciato la firma di accordi commerciali con gli Stati confinanti e misure per attirare gli investimenti privati, ma non è ancora chiaro come questi beneficeranno una popolazione composta principalmente di agricoltori e allevatori: «Mi auguro di cuore che ci siano riflessi positivi – prosegue suor Maria Luisa – ma per ora, qui, non si vede nulla che possa far presagire un cambiamento concreto». Perché, come aggiunge mons. Hiiboro, «se vogliamo costruire il Sud Sudan, la gente deve vedere la differenza tra la guerra e la pace. E pace significa sviluppo».

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