Il Sud prova a farsi sentire, a Cuba il G77 più Cina
È il maggiore blocco mondiale di Paesi. Ben 134 – due terzi dei membri Onu, la quasi totalità delle nazioni di America Latina, Africa e Asia. Sebbene conservi il nome (G77) assunto alla sua costituzione, nel 1964, quando nacque, in piena Guerra Fredda, in occasione di un summit per il commercio e lo sviluppo, dal gruppo dei “Paesi Non Allineati”. Vuole dare voce ai Paesi in via di sviluppo, contrastando la governance mondiale dominata dal Nord e dall’Occidente.
Negli ultimi anni, l’ascesa a potenze emergenti di alcuni suoi membri ha elevato l’importanza di un blocco che rappresenta l’80% della popolazione mondiale e una percentuale importante delle risorse alimentari ed energetiche del pianeta. Dal 1992, la Cina vi partecipa come membro esterno.
Indubbiamente non è agevole concertare accordi (meno ancora se vincolanti) tra così tanti partecipanti, tant’è che l’unico accordo vigente riguarda il commercio agevolato di prodotti agricoli e manifatturieri. Per questo, alcuni leader dei Paesi più potenti al suo interno spingono verso una maggiore unità di intenti, affinché la voce del blocco possa farsi sentire nel nuovo scenario mondiale multipolare.
L’incontro di Cuba ha visto la presenza di 1.300 delegati, di 116 Paesi e 12 organismi Onu, tra cui 31 capi di Stato e di Governo e 12 vice, ed ha lanciato allarmi, richieste e proposte che il presidente pro tempore del blocco, il cubano Miguel Díaz-Canel, porterà al Palazzo di Vetro nei prossimi giorni.
«Il mondo sta fallendo nei confronti dei Paesi in via di sviluppo”, ha affermato il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, invitando ad “alzare la voce nella lotta per un mondo che funzioni per tutti».
Le regole per le nuove tecnologie «non possono essere scritte solo dai ricchi e dai privilegiati», ha detto in riferimento al titolo del summit di Cuba: «La sfida dello sviluppo: il ruolo della scienza, della tecnologia e dell’innovazione».
La dichiarazione finale inizia con “l’imperiosa necessità di agire uniti” di fronte alle molteplici sfide di oggi “per raggiungere gli obiettivi e rinforzare il ruolo” (del G77) “nel contesto internazionale attuale”.
Facendo eco a quanto espresso dalla grande maggioranza dei quasi cento interventi, il documento esprime una profonda preoccupazione per «l’attuale ordine economico internazionale, ingiusto per i Paesi in via di sviluppo».
In particolare, i leader hanno sottolineato «l’urgente necessità di una riforma integrale dell’architettura finanziaria internazionale e di un approccio più inclusivo e coordinato della governance finanziaria mondiale, con maggior enfasi nella cooperazione tra Paesi, anche mediante l’aumento della rappresentatività dei Paesi in via di sviluppo negli organismi mondiali di presa di decisioni e formulazione di politiche».
Il politologo argentino Jorge Malena commenta a France 24: «Quando in Occidente si ricorda la necessità di seguire un ordine internazionale basato su regole, si parla di regole stabilite dallo stesso Occidente, che non hanno dato sufficienti risposte ai Paesi in Via di Sviluppo».
Da qui le reiterate richieste di riforme sistemiche che – ricorda il suo collega boliviano della Florida International University, Eduardo Gamarra, in una intervista alla Cnn – si ripetono “da almeno 60 anni” e “non provocheranno un cambio nell’ordine mondiale”. Soprattutto per via di un modello di sviluppo molto difficile da modificare, fondato sull’estrazione di minerali e idrocarburi e sulla fornitura di alimenti da parte del Sud globale.
Lo stesso Malena sottolinea che la stragrande maggioranza dei Paesi membri del G77 soffre un alto grado di dipendenza economica da Usa e Ue nei campi del commercio, della finanza, della scienza e della tecnologia. Negli ultimi anni è però progressivamente entrata in questa equazione la Cina. Ma secondo entrambi gli esperti sudamericani essa fomenta il sistema attuale.
Ovunque, in America Latina, il gigante asiatico è «tra i primi tre partner del commercio, degli investimenti, delle forniture di tecnologia e della costruzione di infrastrutture», asserisce Jorge Malena. In cambio di materie prime.
La dichiarazione finale di G77 chiede altresì l’eliminazione di «leggi e regole di impatto extraterritoriale e di tutte le altre forme di misure economiche coercitive, incluse le sanzioni unilaterali verso Paesi in via di sviluppo» (un’implicita allusione all’embargo verso il Paese anfitrione) e, mentre incoraggia la cooperazione Sud-Sud e Nord-Sud in scienza, tecnologia e innovazione anche nel campo sanitario e per la prevenzione delle pandemie, segnala il cambiamento climatico come preoccupazione capitale, indicata esplicitamente dagli interventi dei presidenti Petro (Colombia) e Lula (Brasile). Il documento riconosce che «a metà della strada per la concretizzazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenible, il mondo, e in particolare i Paesi in via di sviluppo, sono ancora molto lontani dal raggiugere gli obiettivi».
Presente in molte allocuzioni il discorso del consumo irresponsabile delle risorse naturali soprattutto da parte del Nord globale. Il colombiano Gustavo Petro l’ha indicato come «il principale problema di questa umanità». Ed è un fattore che incide, insieme ad altri, nella crescita del fenomeno migratorio, che potrebbe coinvolgere ben 3 miliardi di persone, secondo modelli di previsione scientifici, e che potrebbe creare, se non si agisce presto, “un mondo violentissimo”. «Se già lo è oggi, come sarà domani? Come sarà quando le grandi città saranno inabitabili?» “Ci sarà democrazia o barbarie?”.
Rimarranno tutte parole vuote? Perché non lo siano, Jorge Malena auspica un dialogo con il Nord globale, forse col G7. L’Assemblea Generale Onu che si apre l 19 settembre dirà che tipo di risposte sono disposti a dare i Paesi del Nord. Si vedrà in quel contesto e in seguito se tra i Paesi del G77 e oltre prevarranno i progetti comuni o gli interessi particolari.