Suburra, la serie “mortale”

Un quadro tragico e desolante di una Roma ladrona, nella terza stagione della serie su Netflix, dove tutti, Vaticano e Comune, Parlamento e giornalisti, ricchi e poveri, zingari e mafiosi sono immersi in traffici loschi. Questa è Roma? Un’altra umanità, sotterranea anch’essa, esiste, vitale e vera

È finita la terza stagione della serie su Netflix prodotta da Cattleya. Suburra, ovvero il quartiere malfamato dell’antica Roma fino ad Ostia, è rivisitata attraverso le vicende contemporanee di Aureliano (Alessandro Borghi) giovane disperato e diviso in sé stesso, vittima di un padre senza amore; Spadino (Giacomo Ferrari), anch’egli vittima del clan di zingari dove è nato e da cui cerca di liberarsi; Samurai (Francesco Acquaroli), il boss sanguinario che domina sulla città; Sara (Claudia Gerini), donna di alta classe invischiata col Vaticano; e Amedeo (Filippo Nigro), l’onesto politico corrotto dal male per il potere.

Un quadro tragico e desolante di una Roma ladrona, dove tutti, Vaticano e Comune, Parlamento e giornalisti, ricchi e poveri, zingari e mafiosi sono immersi in traffici loschi. Nessuna speranza di redenzione per nessuno, se non la morte. La serie infatti è il ritratto di vite disperate e scure dove il potere dà dei beni che poi volano via per gli intrecci di altri concorrenti, vecchi e giovani.

Roma, notturna più che diurna, improvvisa e tenebrosa, è la grande lupa che divora i suoi figli nel buio. Nessuna redenzione è possibile e gli innocenti – anche i bambini di Amedeo – diventano vittime del male e di padri ambiziosi che seminano morte. Sangue, sesso, droga, politica marcia, scandali vaticani, ipocrisia dei ricchi generosi: storia passata e recente, ovviamente ingigantita da personaggi fragili e terribili al tempo stesso. Dalla morte nessuno sfugge, nemmeno tra fratelli o amici, e le nuove generazioni vengono sedotte e arruolate da clan potenti che porteranno al sangue.

Questa è Roma? L’audience ha premiato la serie. Il pubblico televisivo si appassiona a queste storie gangsteristiche nostrane, abituato ormai a cliché di efferatezze cinematografiche straniere e non solo.

Quello che stupisce è che per gli autori non esiste una umanità diversa da questa e, se esiste, deve cedere per forza al male, all’orgia del potere o trincerarsi dentro l’ipocrisia, la paura, l’indifferenza o la religione vista come salvezza per i deboli (la moglie di Amedeo). Il bene non esiste, nessuno si salva. Una visione tristissima, come in Sorrentino, ma che non appare del tutto condivisibile: Roma non è solo questo, esiste un’altra umanità, sotterranea anch’essa, ma vitale e vera.

La terza serie è certo ben girata, gli attori coinvolti e credibili, ma manca lo spessore psicologico, non c’è sviluppo nella loro personalità, si rischia la ripetitività, insomma senza il colpo d’ala della fortunata serie La Piovra, la madre delle nostre fiction. Soprattutto insinua nello spettatore la realtà che vada tutto male e che non ci sia alcuna speranza. Ci pensi un po’ su Cattleya.

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