Su quelle notti far fiorire l’alba

Il 29 agosto, all’età di 94 anni, è morta una nostra carissima amica e affezionata lettrice: la poetessa Francesca de’ Manzoni Boschini. Dalla sua casa di Verona, negli ultimi anni si era trasferita presso la Comunità di San Patrignano (Rimini) per stare accanto al figlio medico e mettersi a disposizione, come insegnante, dei suoi “ragazzi” di lì: un servizio svolto con amore fino alla fine. La ricordiamo con grande affetto, riproponendo l’intervista apparsa sul n. 18 del 2006 di “Città Nuova” cartaceo
Comune di Coriano foto di Carciups

Si definisce di carattere un po' ribelle, difficile a concedersi , ma sa coltivare con tenacia le amicizie vere; una insegnante ostinata, che a sua volta però ha imparato molto dalle esperienze dolorose della vita; donna di poca preghiera, aliena cioè dalle lunghe devozioni, e viceversa costante nella sua contemplazione; poco incline alle effusioni con gli stessi figli, eppure ben voluta dai suoi ragazzi della Comunità di San Patrignano. Una che ha vissuto ore tremende d'angoscia e solitudine, e tuttavia attraverso le sue prose e le sue liriche sa infondere serenità e amore alla vita. Questa è Francesca de' Manzoni Boschini, bolognese di nascita, classe 1920, nostra fedele lettrice e amica dei Focolari fin dal 1956, anno della sua prima Mariapoli a Fiera di Primiero. Una donna che ha vissuto come vocazione la famiglia e la scuola per poi scoprirsi, a tarda età, anche scrittrice e poetessa. Fresco di lettura dell'ultimo suo libro di racconti, Il sole sulle pietre (1), sono andato a incontrarla a Verona, nella sua casa in vista dell'Adige, dove da oltre trent'anni – come lei stessa descrive – vive sola e serena, invidiata e invidiabile… Sola perché mio marito è mancato da anni e i figli sono usciti di casa, ciascuno dietro il proprio destino; invidiata perché ho scavalcato gli ottant'anni in buona salute e pienamente padrona di me; invidiabile perché coltivo, con energia ed entusiasmo, interessi seri, impegnativi: rimango attiva. A suo agio fra i miei molti libri, frutto della passione di una vita, Francesca si è lasciata sempre guidare, anche nell'esercizio della sua professione, dall'amore per la parola: Ho dato molto alla scuola, ma anche ricevuto molto da essa. E non è finita: alla mia età do ancora lezioni private non solo qui a Verona ma, facendomi accompagnare, anche a San Patrignano, dove presta servizio un mio figlio medico. Ha sempre lavorato dai 19 anni in su: per cinquant'anni in scuole d'ogni ordine e grado, dal Friuli alla Romagna al Veneto; e insieme a quello scolastico, l'impegno nell'Azione cattolica, in famiglia, accudendo figli, nipoti e congiunti ammalati. Non so neanch'io come abbia potuto fare tante cose si stupisce, pur riconoscendosi doti un po' speciali di vitalità e tenacia. Stranamente però, mentre per due terzi della mia vita sono stata un'insegnante stimata e amata dai più, coi figli il bilancio è sembrato fallimentare… Sono arrivata anche a chiedermi se avessi fatto bene a sposarmi, visti i risultati…. Si riferisce, Francesca, a quella che è stata la prova della sua esistenza, dovuta alle scelte di alcuni dei quattro figli. Finché erano adolescenti, avevano dato solo soddisfazioni a me e a mio marito. In seguito è stato come se sulla nostra casa grandinasse a tetto scoperto; e anche quelle situazioni estreme che mai avrei pensato dovessero verificarsi da noi, sono accadute. Li ho amati così com'erano, senza aspettarmi niente, adattandoli a loro, cercando in quello che capitava un quid di positivo. Eppure non rimpiango nulla di quanto ho vissuto, perché la felicità ha mille volti per rivelarsi… Quando dolore e amore s'incontrano nell'anima, paradossalmente puoi essere in un pozzo di sangue ed avere la gioia. Il distillato di questa esperienza così ricca sotto il profilo umano e spirituale è tutto nei suoi racconti e poesie. Sono il mio specchio, espressione del mio bisogno di autenticità. Mi fa leggere gli ultimi limpidi versi, nati il giorno prima: Ricordare non è fasciarsi/ del bozzolo aureo del passato,/ ma un ricreare l'esistenza, / far nascere un fiore sul ramo morto. / E i ricordi tristi?/ Su quelle notti far fiorire l'alba. In tutto – commenta – c'è un perché, il cui svelamento forse sarà lontano dai nostri occhi. Bisogna attendere i tempi di Dio. Sono convinta che ciò che avviene dentro di noi è sempre la maturazione di un seme avvertito o inavvertito, depositato nella nostra esistenza. È questo che mi fa essere serena anche in mezzo alle contraddizioni. Le sue poesie: lei è diventata un caso proprio perché non rientravano nei suoi progetti… È vero. Ho cominciato a comporre liriche a ottant'anni, io che non ne avevo mai scritte neppure nel periodo dell'adolescenza. L'occasione è stata l'invito di un caro amico in partenza per la Patagonia a scrivere per lui un diario. Seduta proprio su questa poltrona, ho messo per iscritto (in una prosa poetica, a me pareva) i miei ricordi di quando insegnavo nei paesini montani del Friuli, ricordi anche di guerra. Se non l'avesse chiamata poesia un Bárberi Squarotti, dal quale ho ricevuto elogi e incoraggiamenti, non l'avrei mai creduto. Lui stesso ha scritto una prefazione a L'ultimo incontro lo vorrei gentile, forse la mia raccolta più bella (2). Di poesie ne avrò scritte non so quante, perfino in friulano. È stato qualcosa di assolutamente spontaneo, senza quasi intenzione da parte mia. E Il sole sulle pietre? Sono tutti racconti autobiografici, anche quelli non scritti in prima persona. Non c'è una sola parola che non corrisponda a verità di avvenimento o di sentimento. Se mi si chiedesse di scrivere un romanzo risponderei di no perché non so inventare. A dire il vero, se scrivo non è per essere conosciuta e apprezzata come scrittrice: il mio scopo è anche devolvere il ricavato ed eventuali diritti d'autore a favore dei bambini del mondo più provati dalla sofferenza, specie gli ammalati ed orfani di genitori morti per Aids (il male a cui maggiormente si dedica mio figlio medico. Nel suo libro lei cita ad un certo punto un salmo: Signore, insegnaci a contare i nostri giorni e avremo la sapienza del cuore. Cosa intendeva? Semplicemente: far conto delle vicende di ogni giorno perché sono ricche di messaggi che vengono da Dio. E ringraziarlo di tutto perché tutto – anche il dolore – è dono suo. Nei momenti della prova però il Signore non abbandona, come più volte ho sperimentato anche attraverso il sostegno e la vicinanza degli amici focolarini. Questa fiducia mi ha accompagnata sempre ed è l'anima di tutto quello che scrivo. La mia fede comunque non è stata un cammino facile neanche quand'ero giovane. In certi racconti e poesie, ad esempio, si coglie una grande sintonia con mio padre ma una altrettanto grande incomprensione con mia madre, una donna ricca di meriti, ma anche imprevedibile nelle sue scelte… Purtroppo un certo modo duro di trattare è rimasto anche in me: non ho mai coccolato i figli, neanche ora che sono adulti, anche se loro sanno che ci sono, e con tutte le attenzioni possibili. Un esempio di queste è il maglione che Francesca sta confezionando per uno dei figli. Che ci sia un rapporto tra quest'altra sua passione e lo scrivere, lo racconta lei stessa ne Il sole sulle pietre: Il lavoro a maglia mi induce a pensare alla vita come ad una tessitura di cui mi è stato dato (da chi?) l'ordito e io – al telaio – vi ho passato e ripassato la spola. Libri e lana fanno parte di quella tessitura, non posso pensarli come unici elementi e nemmeno porli su uno stesso piano di valutazione, lo so bene. I libri dicono passione e professione; la lana, ore colorate, motivazioni occasionali, pensieri del cuore, crepitio di fiamma nel focolare, chiacchiere e gare di bravura e di creatività. Il libro: un rapporto personalissimo, intimo; la lana: comunicazione, condivisione. Il lavoro a maglia, inoltre, presuppone quasi sempre l'altro, cui il capo eseguito andrà a finire…. Lo sferruzzare di Francesca dice operosità, generosità, pazienza, gusto del bello: lei stessa insomma. Con questa immagine mi piace congedarmi da lei, sapendo che ha molto altro da donare. Come dicono questi altri suoi versi: Nella madia ho in serbo/tanto pane ancora. OMBRE ACCOGLIENTI Non so se li vorrei vivi i morti/ e a me accanto. Spento/ il rumore della vita, le contese,/ i dissapori, la fatica/ della condivisione, si son fatti/ accoglienti, d'un pallore trasparente./ Gli si può parlare e stanno/ sereni nel silenzio dell'ascolto./ (Sì, avevi ragione tu, perdona./ Come smeriglio il tempo/ ha levigato le troppe asperità./ Ombre nell'ombra rispondono/ al nostro dire come noi vogliamo,/ assentono, accettano altre/ presenze, altri volti chini sui/ nostri. E noi la sera, quando/ siamo soli e rispolveriamo/ un passato che si annebbia/ possiamo discutere con loro/ avoce bassa, senza sbattiti/di porte. Loro sanno che non conta/più tanto infinito affanno./ Ce lo dicono in un soffio,/ a luci spente, quando il sonno arriva. (Da Ombre accoglienti, l'ultima raccolta di liriche di Francesca de' Manzoni Boschini, appena edita da Bonaccorso)

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