Stufa del pranzo

Un'insegnante americana, scandalizzata davanti a ciò che passa nella mensa scolastica, ha aperto un blog in cui riporta ogni giorno ciò che arriva nel piatto degli studenti. E c'è di che stupirsi.
pranzo scuola

Un trancio di pizza, salatini, ananas, carote mignon, latte. Sandwich al burro di arachidi e gelatina di frutta, succo di mela, pesche sciroppate e latte. No, non sono gli abbinamenti preparati per qualche scherzo di cattivo gusto, anche se alle orecchie – e al palato – di noi italiani potrebbero sembrare tali: sono i menù di due giorni qualsiasi di una mensa scolastica dell’Illinois (Stati Uniti). Una delle insegnanti, scandalizzata e disgustata davanti a ciò che ogni giorno viene dato da mangiare ai suoi studenti – e che purtroppo è la norma o quasi negli Usa – ha deciso di mangiare per un anno insieme a loro, e pubblicare in maniera anonima su un blog, Fed up: school lunch project (giocando sulla parola “fed”, che significa sia “nutrito” che “stufo”) i risultati dell’esperimento. E non solo dal punto di vista puramente gastronomico, ma anche nutrizionale e del suo stato di salute. A quanto pare, è un successo: non solo le visite al sito e i commenti entusiastici sono cresciuti esponenzialmente, ma anche i media hanno cominciato ad interessarsi della cosa. Lei rifiuta qualsiasi intervista – anche ad una mail di Città Nuova con alcune domande ha risposto semplicemente ringraziando – per paura di essere scoperta e perdere il lavoro: ma a quanto pare l’educazione alimentare, che passa anche attraverso le mense scolastiche, è un tema molto sentito in un Paese che viene sempre portato come esempio di ciò che in tavola non si dovrebbe mettere.

 

Leggere il suo blog è indubbiamente divertente: alle foto e descrizioni dei suoi pranzi si accompagnano i commenti più o meno ironici suoi e degli studenti, riflessioni sull’educazione e sulla vita scolastica. Al trentaseiesimo giorno dall’inizio dell’esperimento, ce n’è abbastanza per decidere di portarsi il pranzo da casa: non viene data agli studenti alcuna bevanda che non sia zuccherata, latte a parte – «immaginate il picco glicemico nel primo pomeriggio» – e cibi come pizza, hot dog e patatine sono pressoché onnipresenti. Anche la frutta raramente è fresca: è sempre sciroppata, se non ridotta in zuccheratissime gelatine. I resoconti delle sue condizioni di salute, poi, non sono rassicuranti: aumenti di peso, mal di stomaco, problemi di digestione. Insomma, prima della fine dell’anno, chissà che cosa accadrà.

 

Meno male che siamo in Italia, si dirà, dove, per quanto scadente possa essere il servizio mensa, una scuola non negherà mai ad uno studente un – ben più sano di un cheeseburger – piatto di pasta. Eppure, tralasciando episodi limite come interventi dei Nas per il mancato rispetto delle norme igieniche e sanitarie, i motivi per lamentarsi sembrano esserci anche a casa nostra. A Milano lo scorso 26 febbraio ha preso il via lo “schiscetta day”, dal nome del contenitore con cui una volta i lavoratori si portavano il pranzo: una protesta partita da una scuola dell’infanzia contro l’azienda Milano Ristorazione, che a fronte di un aumento dei prezzi non garantirebbe la qualità di cibi quali polpette, lasagne e anelli di totano, giudicati «scadenti» e «inaccettabili a fronte di un gusto di cloro-ammoniaca». Dubbi anche sulla provenienza del cibo, specie su carne e latticini. Nel nostro Paese, poi, si nota anche una certa sensibilità rispetto ai prodotti biologici e “a km zero”, che stanno facendo la loro comparsa in sempre più istituti scolastici. E a quanto pare sono apprezzati, tanto che un gruppo di genitori di Bologna ha lanciato anche sul web la propria protesta quando il Comune ha fatto un passo indietro su questo fronte.

 

Le proteste, però, riguardano soprattutto le tariffe del servizio, rispetto alle quali già da anni si lamentano aumenti anche consistenti – più 44 per cento lo scorso anno a Milano per la fascia di reddito più alta: facendo un veloce giro di documentazione sui costi medi, si va dai 3 ai 5 euro a pasto a seconda delle scuole. L’insegnante dell’Illinois riferisce di pagare 3 dollari a pasto: in un’ottica di rapporto qualità-prezzo, possiamo comunque dire di essere fortunati.

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