Strega o angelo?

Sui mobili dell’ufficio ci sono vari mazzetti di fiori messi in vasi, in bottiglie di plastica tagliate a metà, in bicchieri da birra. È sicuramente il giorno del suo onomastico ed è sicuramente una dirigente. Le espongo il mio problema, certo di una risposta positiva. Invece lei si trasforma repentinamente, i muscoli facciali si irrigidiscono, le rughe diventano più profonde ubbidienti all’ordine di mostrare un nascosto potere di malvagità. Gridare non si addice alla sua mezz’età ma le sue rughe tremanti sotto un trucco incerto e la fresca permanente di capelli radi e rossicci stridono. Sono in Ungheria per studi sulla letteratura per l’infanzia e il paragone con una strega non posso evitarlo. Quegli occhi socchiusi non concedono spiragli di speranza. Neanche i fiori riescono a fare qualcosa. Nessuno e niente sembra resistere. Quella stanza che continua ancora dietro la scrivania mi sembra disumana. Se non fosse perché Elena si chiamano persone che amo anche il nome mi diverrebbe ostile. Lei deve uscire dal Paese entro ventiquattro ore. Ventiquattro ho detto!, mentre su un foglio che dovrò consegnare alla polizia di confine scarabocchia la sua firma e vi sbatte sopra, con forza, un timbro che sottolinea l’irrevocabilità della decisione. Era il 18 agosto. Il mio visto come turista sarebbe scaduto dopo due giorni ed ero andato a quell’ufficio per chiedere un prolungamento fino al primo settembre, quando sarebbe iniziato il decorso della mia borsa di studio e quindi il mio soggiorno ufficiale.Mi sembrava ovvio che, pagando, non ci sarebbe stata nessuna difficoltà a ottenere il prolungamento di dieci giorni di soggiorno. Invece eccomi davanti a una burocrazia senz’anima incapace di ogni eccezione alla regola. Il mio programma si decideva in quella stanza. Certamente sarei potuto andare a Vienna a rinnovare il visto e rientrare, come facevo di solito ma quella donna un certo timore era riuscita a suscitarlo in me. Così, nel giro di poche ore, sono partito da Budapest. Siccome a Venezia c’era la biennale di arti figurative, ho pensato di sostare lì qualche giorno per raccogliere materiale per eventuali articoli da scrivere. Ho telefonato a mia madre in Sicilia annunciandole l’improvviso mio arrivo. Un dono per lei, evidentemente, ed anche per me. Il treno che ho trovato da Venezia arrivava fino a Bologna, dove avrei dovuto attendere quello che scendeva in Sicilia. Avendo qualche ora ne approfittai per telefonare agli amici che non sentivo da tempo. Infatti da quando ero in Ungheria avevo un po’ allentato tutti i miei rapporti per evitare qualche imprudenza che avrebbe potuto compromettere il mio soggiorno in un Paese comunista dove chi veniva dall’Occidente era sempre un sospetto portatore del virus capitalista ed era quindi tenuto d’occhio. Nella cabina di un telefono a gettoni venni a sapere che Gabriella, una cara amica di un antico borgo delle Marche, era gravemente malata.Ho pensato che al ritorno le avrei fatto una visita. La notizia mi lasciò di sasso. Pensavo alla sua bambina piccola, al marito, ai suoi genitori anziani senza altri figli. Insomma telefonai ancora a mia madre dicendo che posticipavo l’arrivo Presi il primo treno per Ancona dove passai il resto della notte e il giorno dopo raggiunsi Gabriella a Moresco. Ti aspettavo, mi dice con un filo di voce. Sono contento di essere vicino a te, ma non avevo previsto di venire qui. Se non fosse stato per…. Ero sicura che saresti venuto. La sua mano nelle mie è fragile. Non so spiegare il sacro che emana quel corpo sofferente. Attorno tutto è ordinato come lei. Sapeva a cosa andava incontro e vi si era preparata illuminata da una fede ogni giorno più cristallina. Mi chiede scusa che non riesce a tenere gli occhi aperti. Con un filo di voce mi confida il suo strazio di lasciare la bambina ancora piccola, l’amatissimo marito. Non ha la forza di piangere, ma la voce è un grido svuotato di ogni forza. Nei silenzi ascolto la fatica di un respiro che ruba al tempo ancora un attimo, poi un altro attimo. È come se mi trovassi in una chiesa deserta e le voci sommesse che arrivano dalle altre stanze mi sembrano preghiere. Sostenuto dalla sua stessa fede non è difficile dire a Gabriella che forse Dio le sta chiedendo ora l’ultimo dono: la figlioletta e il marito. Dai suoi occhi scende una lacrima di assenso. Poi accenna un sorriso. Avevo bisogno di parlarti. La tua fede mi ha sostenuto in certi momenti difficili. Scusami se tengo gli occhi chiusi. Restituisco a Dio le felicità che mi ha dato. Mi sento serena e pronta. Ti ringrazio d’essere qui. Qualche ora dopo il sacerdote che viene a darle l’Eucaristia la trova più distesa del giorno prima. Non passa molto tempo e Gabriella è nell’eternità. Parlando con il marito vengo a sapere di un diario della moglie. Tra le lacrime leggiamo qualche pagina e decidiamo di stralciare qualche brano da leggere ai funerali. Come si fa a essere degni di una donna così!. Dopo i funerali, affollati come una festa di paese, riprendo il viaggio verso la Sicilia. In treno mi chiedo se non sto attraversando un sogno. Il paesaggio che corre veloce, i casolari, i campi falciati, le vigne cariche mi sembrano l’enorme fondale del palcoscenico dove si svolge la vita con i suoi quadri tragici e le sue gioie. Chi ha in mano le redini di tutto? Chi scandisce la durata della rappresentazione? Sono commosso e grato a Dio d’avermi fatto vivere gli ultimi respiri di Gabriella. E lei mi aspettava! Improvvisamente provo una immensa gratitudine per la strega cattiva che mi aveva costretto con forza ad uscire dall’Ungheria. Strega o angelo?

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