Strage di migranti in mare, un lutto che non si può rimuovere

La tentazione di abituarsi, nella scarsa attenzione mediatica, alla tragedia delle centinaia di morti in mare al largo di Pylos nel Mar Egeo e i punti da chiarire del recente accordo del Consiglio europeo su sbarchi e accoglienza
Migranti (John Liakos/InTime News via AP)

Un abbraccio attraverso le sbarre nel centro di identificazione del porto di Kalamata.  È la foto di Ap che documenta il pellegrinaggio doloroso da tutta Europa dei parenti che si stanno recando in Grecia nella speranza di trovare i familiari superstiti della strage di migranti avvenuta nella notte tra il 13 e 14 giugno in circostanza ancora da accertare ma che conferma la facile previsione di un’ecatombe annunciata. Si contano 104 superstiti di un’imbarcazione che trasportava oltre 700 esseri umani, tra i quali 100 bambini.

Come riporta Giovanni Marenda su Meltingpot  « il naufragio è avvenuto nella zona con il mare più profondo di tutto il Mediterraneo: circa 60 km a sud-ovest di Pylos si trova la Fossa di Calipso, una depressione che supera i 5.000 metri di profondità. Gli esperti dicono che il recupero dei corpi sarà quindi particolarmente difficoltoso, il mare li inghiottirà per sempre».

Una scomparsa fisica dal nostro sguardo che conferma un’altra tendenza inevitabile con il ripetersi delle tragedie e cioè una progressiva assuefazione alla banalità del male. La notizia in Italia è passata in secondo ordine davanti alla concorrente inevitabile centralità mediatica della morte di Berlusconi che ha riempito palinsesti e fogli di giornale.

È inoltre prevalente, come avvenuto dopo i fatti di Cutro in Italia, una narrazione che sposta l’attenzione dalla morte delle persone in mare alle responsabilità dei cosiddetti scafisti, mentre come ha messo in evidenza Francesca Cabibbo su cittanuova.it, «chi sale sulla nave per guidarla non è mai l’organizzatore del viaggio, è spesso solo una pedina utilizzata dai grandi “manager” delle migrazioni, che rimangono nell’ombra e quasi mai vengono allo scoperto».

Mettono fuori strada anche gli annunci di una svolta europea nella gestione dei flussi migratori come ha fatto notare Flavia Cerino sempre su cittanuova.it.  Gianfranco Schiavone dell’Asgi sottolinea che la previsione di possibili ricollocazioni dei migranti tra i Paesi europei «è poco più di un gioco di parole, in quanto la ricollocazione non è mai obbligatoria e gli Stati possono sempre barattarla con una “solidarietà finanziaria” verso lo stato membro che ha una situazione di pressione migratoria oppure con “contributi finanziari (…) per progetti relativi al settore della migrazione, della gestione delle frontiere e dell’asilo o per progetti nei Paesi terzi che possono avere un impatto diretto sui flussi alle frontiere esterne o possono migliorare i sistemi di asilo».

Secondo Schiavone «la direzione di fondo della posizione del Consiglio è dunque quella di investire risorse massicce nei Paesi terzi per bloccare i richiedenti asilo e farlo con ogni mezzo, senza però nessuno dei controlli e delle limitazioni previste dal Parlamento. Difficile immaginare uno scenario più duro e violento che comprime i diritti fondamentali delle persone, cristallizza i disequilibri attuali nell’Unione e penalizza i paesi di primo ingresso come l’Italia».

È notizia di questi giorni la visita in Tunisia, dopo quella di Meloni e von der Leyen, del ministro degli interni francese Gérald Darmanin, ministro degli Interni francese assieme alla collega tedesca Nancy Faeser per finanziare il controllo dei confini con il finanziamento di oltre 28 milioni di euro. La Gran Bretagna, Paese extra Ue, finanzia a sua volta la Francia per fermare i flussi migratori dal canale della Manica.

La difesa dei diritti dei migranti non porta consensi come dimostra il successo elettorale in Grecia delle forze politiche che hanno adottato misure di chiusura delle frontiere.  Nico Piro ha raccolto per il tg3 italiano una delle poche voci di dissenso con la denuncia di Lefteris Papagiannakis, direttore del Consiglio greco per i rifugiati.

Resta in prima fila sulla salvaguardia dei diritti e della dignità di ogni persona il servizio internazionale dei gesuiti per i rifugiati. Camillo Ripamonti, padre gesuita presidente del Centro Astalli, è come al solito molto chiaro: «L’Europa continua a proteggere i confini e a difendersi da coloro che sono le vittime di un mondo ingiusto. Dovremmo aver imparato negli anni, ormai troppi, che non si fermano gli arrivi ostacolando le partenze, rendendo più difficoltosi i viaggi. L’unico risultato di queste politiche è l’aumento delle morti alle frontiere. La drammatica e cinica conclusione di questo agire è che di fatto riteniamo alcune vite sacrificabili».

Va quindi compresa come una resistenza alla prevalente assuefazione alla tragedia delle “vite sacrificabili” la giornata mondiale 2023 del rifugiato che vedrà a Roma il 22 giugno un momento di preghiera ecumenica in memoria dei migranti di ogni nazionalità, lingua e religione, che hanno perso la vita nei viaggi verso l’Europa. La celebrazione intitolata “Morire di Speranza”, si svolgerà alle ore 18 presso la Chiesa di Santa Maria in Trastevere a Roma con la presenza del cardinale Matteo Zuppi.

Sullo sfondo la domanda che si pone in questo momento storico: «L’Europa è oggi capace di ascoltare il grido di un’umanità ferita e di attivarsi fattivamente per promuovere la pace? È tempo che l’UE trovi il coraggio di gestire le migrazioni con politiche che sottraggano i rifugiati alla guerra, alle stragi in mare, ai pericoli delle rotte terrestri e a chi trasforma in profitto la loro disperazione».

Vedi anche inchiesta del numero di giugno 2023 di Città Nuova

 

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