Strage di Brescia, la lezione di storia di Mattarella

«Punire e terrorizzare chi manifestava contro il neofascismo e in favore della democrazia». L’oggettività dei fatti accertati sulla strategia della tensione che nel 1974, con il concorso di settori deviati delle istituzioni, voleva minare le fondamenta della Repubblica. Una grande lezione da parte del presidente Sergio Mattarella contro il rischio di «falsificazione della verità» denunciata da Manlio Milani dell'Associazione familiari dei caduti di Piazza Loggia e presidente della Casa della Memoria di Brescia
Piazza della Loggia a Brescia dopo l'attentato del 28 maggio 1974. ANSA

«Complici e collusi, strateghi di morte, non rappresentano lo Stato, ma una gravissima minaccia contro la Repubblica.  Hanno tradito l’Italia. Hanno tramato nell’ombra contro il loro popolo e il loro Paese».

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Piazza della Loggia di Brescia
(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Ha espresso concetti chiari e inequivocabili Sergio Mattarella intervenendo il 28 maggio a Brescia per fare memoria dei 50 anni dalla strage di piazza della Loggia, perpetrata da organizzazioni neofasciste collegate con i servizi segreti deviati e funzionari infedeli dello Stato.

Non si tratta ormai di punti oscuri ma di verità accertate in Cassazione dopo aver superato intrighi e depistaggi che hanno ostacolato in questi decenni le inchieste della giustizia penale.

L’assenza a Brescia dei vertici del governo attuale è il segnale di un cammino ancora lungo da compiere per arrivare alla memoria condivisa in Italia. Resta un senso di profonda inquietudine, che non può essere smorzato dal fluire continuo di news che si sovrappongono tra loro. Non è difficile rilevare la sostanziale mancanza di conoscenza di quei fatti tra i più giovani, sotto la coltre fumogena dei misteri irrisolti e l’indistinta responsabilità degli opposti estremismi.

Per questo motivo l’intervento del presidente della Repubblica merita di essere letto e commentato in ogni scuola come una lezione di storia nazionale da non consegnare all’oblio. Ovviamente quella ferita è tuttora viva e presente nel territorio bresciano, ma quanto avvenuto nel 1974 travalica i confini della città lombarda e pone domande di grande attualità.

Quel 28 maggio 1974 i sindacati avevano indetto una manifestazione nella grande piazza rinascimentale della città per dare una risposta pubblica ad una serie di azioni provocatorie promosse da organizzazioni neofasciste legate alla tradizione della Repubblica sociale italiana, il residuo del regime mussoliniano impiantato dal 1943 al 1945 ad opera dei nazisti nella città di Salò che si affaccia sul vicino lago di Garda.

Il clima politico in quel 1974 (a meno di 30 anni dalla fine della guerra mondiale) era molto pesante come ha ricordato Mattarella: «La strage di Brescia fece seguito a numerosi gravi episodi in questo territorio nei mesi immediatamente precedenti: pestaggi, intimidazioni, attentati neofascisti contro sedi di istituzioni, di sindacati, di cooperative, di forze dell’ordine, di giornali, di scuole. Armi, bombe ed esplosivi erano stati scoperti e sequestrati durante gli arresti di alcuni estremisti di destra. Un giovanissimo neofascista, pochi giorni prima della strage, era morto ucciso dal materiale esplosivo che trasportava».

«Perché è accaduto tutto a Brescia?», si è chiesta e ha domandato, come riporta il Giornale di Brescia, alla platea di un assemblea della Flc Cgil, Benedetta Tobagi che a quella strage ha dedicato un libro molto bello e intenso.  «Perché Brescia – ha detto la Tobagi – rappresentava fortissime tensioni sociali; in un territorio in cui nel 1974 il 58% della popolazione era impegnata nell’industria, il sindacato cresceva ma faceva un’enorme paura. In questo contesto c’era una grande contaminazione sindacale: metalmeccanici e lavoratori della scuola erano uniti, per mettere al centro la formazione».

Sulla presenza e l’unità sindacale, chi scrive può riportare la testimonianza ricevuta da Giorgio Cremaschi, dell’ala estrema della Cgil, sulla lezione di vita ricevuta a Brescia da un sindacalista della Cisl. E la bomba scoppiata alle 10.12 di quel 28 maggio interruppe proprio il discorso di Franco Castrezzati, il rappresentante del sindacato, per lungo tempo di estrazione cattolica, mentre denunciava le provocazioni dell’allora Movimento Sociale Italiano approdato dalla gestione di Michelini a quella di Giorgio Almirante.

Sul sito della Cisl di Brescia è riportato il discorso integrale di Castrezzati, tuttora vivente, letto dai suoi figli per far conoscere il messaggio autentico della manifestazione indetta 50 anni fa in piazza della Loggia.

Non bisogna poi dimenticare che Brescia non è solo il luogo della cosiddetta finanza bianca, fondata originariamente sul mutualismo, ma ha anche espresso alcune delle figure di rilievo di opposizione cattolica al nazifascismo come Andrea Trebeschi, morto nel campo di concentramento di Gusen nel 1945 e luogo di azione delle formazioni partigiane dei “Ribelli per amore”, le Fiamme Verdi dove si distinse Cesare Trebeschi, figlio di Andrea, sindaco di Brescia dal 1975 al 1985.

Si devono a queste radici profonde la capacità di risposta civile della società bresciana che, pur consapevole delle collusioni esistenti con pezzi dello Stato deviato, non ha ceduto alla provocazione del terrorismo nero, come ha detto chiaramente il presidente Mattarella: «Provocare un clima di disordine e di paura, esasperare la popolazione, immettere nella società la sfiducia nell’autorevolezza del metodo e delle istituzioni democratiche, inaugurare una nuova stagione di repressione erano gli obiettivi della galassia del terrorismo neofascista, che si nutriva di giovani manovrati, di militanti violenti, di ideologi raffinati e perversi e di una oscura rete di complicità, costituita da silenzi, benevolenze, omissioni, coperture».

«Mentre, in quello stesso anno, – ha detto Mattarella – i popoli di Portogallo e di Grecia si liberavano finalmente dell’oppressivo fardello dei regimi autoritari, in Italia vi era chi tramava e complottava per instaurarvi un nuovo regime autoritario».

Parole inequivocabili da parte della massima autorità della Repubblica che rispondono alla necessità espressa, in un recente incontro promosso a Brescia da Libera, e da Manlio Milani, marito di Livia Bottardi (morta nell’attentato) e presidente della Casa della memoria, centro di iniziative e di documentazione sulla strage e sulla strategia della tensione.

Milani invita a non dare spazio alla «falsificazione della verità» davanti ad una vicenda che «è stata costellata da costanti depistaggi per falsificare la realtà, non soltanto per coprire gli autori di quella strage. Anche laddove la verità giudiziaria è arrivata ad alcune conclusioni, come su Brescia o più recentemente sulla strage di Bologna, i media continuano a parlare di ombre e di misteri».

A scanso di ogni equivoco e fraintendimento, è importante perciò la possibilità di accedere a fonti sicure grazie al portale ufficiale della “Rete degli archivi per non dimenticare” promosso con il sostegno dalla Presidenza della Repubblica il 9 maggio 2011. Il dossier relativo alla Strage di piazza della Loggia riporta così i fatti: «Il lungo iter processuale consta di tre processi e si è concluso nel 2017, condannando per strage il dirigente di Ordine nuovo Carlo Maria Maggi, come organizzatore dell’eccidio, e il militante (e informatore del SID) Maurizio Tramonte, per concorso in strage. Non sono stati identificati gli esecutori materiali e non c’è stata nessuna condanna per i depistaggi messi in opera dal SID, pur ricostruiti in modo preciso».

Il SID è l’acronimo del Servizio informazioni difesa (SID), cioè il nome del servizio segreto italiano dal 1966 al 1977, quando furono create al suo posto due strutture distinte, una civile e una militare (SISDE e SISMI).

Nei prossimi giorni si svolgeranno le udienze dei processi distinti contro due neofascisti veronesi, Marco Toffaloni, all’epoca minorenne, e Roberto Zorzi, accusati di essere gli autori materiale dell’eccidio che provocò 8 morti e 104 feriti.

Sembra troppo tardi, come riconosce il presidente Mattarella, il quale ricorda che «la risposta dello Stato democratico nella lotta al crimine e nel fare giustizia – vorrei dirlo soprattutto ai ragazzi – può apparire talvolta lenta. Certo, è sempre auspicabile una risposta tempestiva, per quanto possibile rapida ma, quel che va ricordato, perché fondamentale, è che essa rispetta le garanzie dello Stato di diritto: questo conferisce solidità e affidabilità».

Come ha precisato Manlio Milani, «le persone morte in piazza della Loggia avevano scelto di essere lì per rivendicare i valori costituzionali e quindi l’antifascismo, per questo motivo non le abbiamo mai chiamate vittime, ma caduti».

Ed è importante ricordare esplicitamente i loro nomi, che celano storie uniche e irripetibili, come ha voluto fare il presidente Mattarella nel suo importante intervento a Brescia: «Giulietta Banzi Bazoli, di 34 anni. Livia Bottardi Milani, 32 anni. Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni. Alberto Trebeschi, suo marito, 37 anni. Euplo Natali, 69 anni. Luigi Pinto, 25 anni. Bartolomeo Talenti, 56 anni.Vittorio Zambarda, 60 anni».

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