Strage del condominio, il parere dello psichiatra Zanalda
Una riunione di condominio a Fidene, quartiere periferico di Roma, è finita in tragedia. Un uomo di 57 anni, Claudio Campiti, si è presentato nel gazebo dove si teneva l’assemblea armato di pistola e con circa 170 proiettili. Ha sparato sui presenti, uccidendo 3 donne e ferendo 4 persone, finché per fortuna l’arma si è inceppata e un condomino è riuscito a disarmarlo. Campiti aveva già manifestato la sua intolleranza in passato sui social e su un blog. “Benvenuti all’inferno… qui denunciare è tempo perso, so’ tutti ladri“, aveva scritto denunciando anche altri disservizi nel consorzio, come ad esempio la mancanza di illuminazione. Tragedie di questo tipo portano a domandarsi come sia possibile arrivare a tanto e se fosse stato possibile impedirle. Campiti, per esempio, era già stato denunciato per minacce.
Per Enrico Zanalda, presidente della Società italiana di psichiatria forense, «l’instabilità di questo periodo e la ridotta tolleranza alla frustrazione, aiutano determinati soggetti a compiere questi gesti, ma non dobbiamo abituarci a questi comportamenti. Il drammatico evento di Roma, dove un signore si è trasformato in un omicida di massa, e quello del collaboratore scolastico di Favara di una settimana fa possono essere letti considerando il recente e progressivo aumento dell’aggressività sociale e della manifesta ostilità». L’instabilità e l’insicurezza di questo periodo, unitamente a una minore tolleranza alla frustrazione e all’incremento del narcisismo, spiega Zanalda, possono facilitare le scelte scellerate di determinati soggetti.
«La cosa strabiliante è che questi crimini sono premeditati e lucidamente realizzati. L’omicidio diventa l’agito estremo attraverso il quale si elimina definitivamente l’oggetto frustrante per l’incapacità di tollerare l’insuccesso e l’insoddisfazione esistenziale, come se fosse l’unica possibile soluzione del problema che determina un immediato sollievo. Vi è un incremento diffuso di comportamenti aggressivi, per lo più verbali, nella quotidianità sia reale che virtuale a cui non dobbiamo abituarci». Lo psichiatra fa riferimento al diffuso fenomeno degli “haters”, ovvero la manifestazione dell’odio attraverso internet. «Alla base del comportamento degli odiatori – aggiunge – c’è spesso come unico obiettivo, quello di trascinare in basso il proprio bersaglio sentendosi appagati dal suo annientamento sociale».
Il problema, per l’esperto, è che la velocità che caratterizza il web e anche la nostra società non lascia il tempo all’elaborazione delle emozioni all’individuo, facilitando le risposte impulsive e aggressive. «Ci confrontiamo quotidianamente – spiega Zanalda – con l’urgenza e con la necessità di fornire risposte immediate e veloci. È necessario tornare a recuperare il concetto di “lentezza” per lasciare il tempo di elaborazione e mediazione delle emozioni».
È necessario anche riflettere su quanto accaduto, anziché indurre paura ed ansia che sarebbero solo foriere di un ulteriore aumento dell’aggressività sociale. Il “mass murder” è un evento estremamente raro in Italia anche per la limitata diffusione delle armi. «L’omicida di massa – conclude o psichiatra – generalmente ha dei tratti narcisistici e paranoidi di personalità e volge la sua rivalsa nei confronti di un gruppo di cui si sente vittima. Questi eventi sono difficilmente prevedibili e una diffusa maggiore tolleranza relazionale contribuirebbe a mantenerli eccezionali. La frustrazione e l’infelicità sono sempre presenti nei mass murder unitamente o meno a eventuali disturbi psichici. Tuttavia, non può essere sottovalutato che generalmente il fenomeno dei mass murder avviene nei paesi molto sviluppati in cui la struttura competitiva della società può determinare lo sviluppo, nell’individuo, di un enorme senso di frustrazione».
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