Strage di Cutro, raccontare la tragedia coltivando la speranza
Mentre le storie dei dolori e delle sofferenze dei migranti continuano a fare notizia a livello globale, non c’è dubbio che il destino umano non è isolato e il livello di dolori, tribolazioni e sofferenze incontrate anche da una sola persona, rende l’intera comunità umana unita dal rimorso e da un profondo dolore. Questo è il caso del recente e tragico evento che ha provocato una forte risonanza in tutto il mondo. Nella serata di domenica 26 febbraio il telegiornale ha iniziato a trasmettere la notizia della morte di decine di giovani uomini, donne e bambini, che hanno perso la vita nella speranza di un futuro radioso, il cui unico desiderio era quello di un domani migliore per garantire a sé stessi e soprattutto alle loro famiglie una meritata luce in fondo al tunnel.
Ma quella notte il raggio di speranza si è affievolito e la luce si è definitivamente spenta.
I corpi galleggiano nel Mediterraneo, carichi del peso delle loro vite e di quella dei loro figli; sono i corpi di coloro che hanno portato con sé la miseria, la sofferenza ed il dolore, che hanno incontrato l’orrore del mare in tempesta, le doghe distrutte delle fragili barche, che in qualche modo li hanno fatti sentire sicuri ed in grado di sopravvivere in mezzo alle avversità, ignari di andare incontro ad una morte atroce e non cercata; per tutti loro le onde ruggenti del mare rappresentavano un’auspicata unione di culture, un ponte in grado di connettere i destini umani attraverso passaggi di speranza e misericordia.
Ci sono state numerose segnalazioni di esseri umani che hanno perso la vita nel tragico incidente a largo della Calabria, in Italia. Questo incidente è molto doloroso ed ha provocato più di 3 dozzine di morti, compresi donne e bambini che hanno visto le loro speranze infrangersi sulle coste del Mar Mediterraneo.
Ci sono state molte notizie sui media sull’agonia del destino umano e in particolare sui migranti che attraversano i confini lungo traiettorie pericolose. Durante l’ascolto di un’intervista di un ragazzo che aveva cercato di fuggire dal Pakistan ed è morto per le ferite, è stato scioccante scoprire come anche i giovani stiano fuggendo dai loro paesi e stiano mettendo a rischio le loro vite per raggiungere “pascoli più verdi”.
L’intervista di questo ragazzo è apparsa su Bbc Urdu Service, un servizio radiofonico che ha sede nel Regno Unito ma che trasmette notizie in urdu. Ho ascoltato la storia travagliata e tragica di questo giovane che ha incontrato la morte mentre attraversava i confini scegliendo di andare in barca. Un giorno è uscito di casa immaginando un futuro più luminoso, ma la strada per questo sogno è stata piena di sfide, costellata di rischi e di percorsi di vita che lo hanno portato alla scelta di emigrare verso frontiere straniere.
Mentre raccontava la sua storia, quasi non riusciva a piangere, raccontando come ogni giorno era una guerra per la sopravvivenza. Costretto a camminare per miglia e miglia lungo territori misteriosi per evitare di essere catturato e per arrivare finalmente a destinazione, non importa quanto estenuante potesse essere.
Oltre a questa storia ce ne sono molte altre, tutte unite da medesimi dolori ed illusioni. Quando la giovane atleta pakistana Shahida, ha deciso di percorrere la strada per intraprendere questo viaggio sfortunato e guidato da un destino avverso, aveva la speranza di sopravvivere a tutte le avversità, pronta a qualsiasi difficoltà pur di raggiungere le coste italiane, con la missione di curare il figlio molto malato che soffriva di una grave paralisi fin dalla tenera età.
Ha rischiato la vita per dare a suo figlio la possibilità di un ricovero e una cura in Italia. Shahida Raza era una donna coraggiosa, che si opponeva alle avversità. In una società che ha adottato codici rigidi per l’uguaglianza di genere, Shahida, capitano della squadra di hockey pakistana, ha avuto il coraggio di affrontare enormi sfide. Aveva una missione come madre, come soccorritrice e come sostenitrice della sua famiglia. Era una donna lavoratrice single che ha sfidato tutto, indipendentemente dalle paure e dai traumi che l’hanno portata ad affrontare questo viaggio verso la morte.
Mentre immaginavo gli sconvolgimenti della vita di Shahida, ho cercato di immaginare quanto audacemente e coraggiosamente abbia combattuto la battaglia della speranza in mezzo alla battaglia della vita. Shahida è diventata un’ eroina per noi! Anche se abbiamo visto innumerevoli donne pakistane sia in Pakistan, sia in Italia e in molte altre parti del mondo diventare vittime di violenza domestica, fratricidi, delitti d’onore che le hanno private della loro la vita, resta il fatto che rimaniamo resilienti, coraggiose e determinate nel resistere all’ingiustizia. Non importa quanto dura sia la battaglia, continueremo a lottare per la speranza perché nella speranza continuiamo a vedere la luce della vita. Un dono divino che è un obiettivo e un’aspirazione umana condivisa.
__