Strage di Bologna, l’Italia non dimentica
Sabato 2 agosto 1980. In un’Italia immersa nelle calde vacanze estive, avvenne la strage più grave della storia repubblicana. Più di quella, gravissima, di 11 anni prima di Piazza Fontana a Milano; più di quelle, di 6 anni prima, a Piazza della Loggia a Brescia e sul treno Italicus. Alle ore 10.25, nella sala d’attesa di seconda classe della Stazione di Bologna, esplose una bomba di 23 kg di esplosivo, un mix di tritolo e nitroglicerina. Morirono 85 persone e ne vennero ferite 200. Tutt’oggi è il più grave attentato mai avvenuto nella storia repubblicana del nostro Paese.
La città si trasformò subito in un enorme pronto soccorso a cielo aperto; un autobus, il numero 37, divenne il simbolo di una Bologna lacerata nel profondo. Fu trasformato, infatti, in un primo immenso carro funebre che accolse le vittime. Torquato Secci, impiegato di Terni, venne a sapere che il figlio Sergio, a causa del ritardo del treno sul quale viaggiava, aveva perso una coincidenza a Bologna. Solo il giorno successivo, Secci scoprì che suo figlio era ricoverato al reparto Rianimazione dell’ospedale Maggiore. «Mi venne incontro un giovane medico, che con molta calma cercò di prepararmi alla visione che da lì a poco mi avrebbe fatto inorridire. La visione era talmente brutale e agghiacciante che mi lasciò senza fiato», ha scritto. Nel 1981 Torquato Secci divenne presidente dell‘Associazione tra i familiari delle vittime della strage.
Nel pomeriggio arrivò a Bologna l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Intervistato espresse commosso, ma con la consueta coriacea compostezza, lo sgomento di tutto il paese: «Non ci sono parole che possano esprimere lo stato d’animo mio», disse.
Ma cosa può aver spinto ad un attentato talmente infame? Cosa può aver portato alla folle e assurda decisione di fare strage indiscriminata di civili inermi e innocenti che ha sconvolto la vita di intere famiglie? Ancora oggi la strage non ha dei mandanti accertati. Quel che aggrava ancor di più la situazione è che attorno ad essa si sono sviluppati una serie di depistaggi, affermazioni e contro-affermazioni, tipici degli anni di piombo e di quella che è stata definita strategia della tensione. Ma è altrettanto vero che, grazie al lavoro di professionisti dell’informazione e della procura generale, oggi sono venuti alla luce dei fatti che sembrano rischiarare non poco, e drammaticamente, quanto avvenuto. Vediamo cosa è emerso finora dalle diverse inchieste.
Nel 1995 sono stati condannati con sentenza definitiva come esecutori della strage Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar), organizzazione terroristica neofascista; nel 2007 è arrivata la sentenza definitiva di colpevolezza anche per Luigi Ciavardini, all’epoca dei fatti minorenne. Tutt’oggi i tre condannati si dicono innocenti.
Per il depistaggio delle indagini furono condannati Licio Gelli, capo della loggia massonica deviata P2, Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte del SISMI, e Francesco Pazienza, collaboratore dei servizi segreti; essi sono stati dichiarati colpevoli di aver indirizzato le indagini attraverso report fasulli su una pista internazionale che coinvolgeva terroristi stranieri e neofascisti italiani latitanti all’estero.
Nel gennaio 2020 è stato condannato per concorso in strage Gilberto Cavallini, anche lui ex appartenente ai Nar. I suoi legali difensori hanno rivolto al presidente Mattarella un appello per ottenere gli atti coperti da segreto; in particolare si riferiscono ai carteggi Beirut-Roma degli anni ’79-’80, perché – sostengono – «la verità sta in quelle carte».
In questi giorni, poi, sono state pubblicate le intercettazioni ambientali fatte nel gennaio 1996 in casa di Carlo Maria Maggi, terrorista di Ordine Nuovo condannato in appello nel 2015 con l’accusa di essere stato il mandante dell’attentato di Piazza della Loggia a Brescia. Nelle intercettazioni si sente Maggi commentare con il figlio le stragi di Ustica e della stazione di Bologna e sostenere, non solo la sicura colpevolezza di Fioravanti e Mambro per la seconda, ma anche il presunto collegamento tra i due fatti. «È stato un episodio di guerra fredda – afferma Maggi – perché la strage di Bologna è stato un tentativo di confondere le acque. Per far dimenticare Ustica».
Su quanto possano essere affidabili queste parole e se vi sia dietro seria consapevolezza o millantato credito, lo stabilirà la magistratura. Infine, nel febbraio 2020, la Procura Generale di Bologna ha notificato quattro avvisi di conclusione indagine a Paolo Bellini, ex Avanguardia Nazionale, ritenuto esecutore che avrebbe agito in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, tutti deceduti e ritenuti finanziatori della strage.
Una recente inchiesta dell’Espresso, a firma di Paolo Biondani, ha mostrato come ci sia stato, nei giorni precedenti alla strage, un grande movimento di versamenti da conti svizzeri – si parla di 5 milioni di dollari partiti dai conti di Gelli e Ortolani e arrivati, tra gli altri, ai terroristi dei Nar, compreso un anticipo versato dopo un incontro tra il 30 e il 31 luglio – da parte Licio Gelli, il quale sarebbe, quindi, il grande finanziatore sia della strage sia dei depistaggi.
Un giro di soldi che passò, oltre che dal capo della loggia massonica deviata e dal suo braccio destro, anche da Federico Umberto D’Amato, dal 1969 vicedirettore degli affari riservati del Viminale e rimosso nel 1974 dall’allora ministro degli interni Taviani. Caso vuole che proprio D’Amato fu per anni collaboratore dell’Espresso, per cui firmò la rubrica di gastronomia e fondò la guida dei ristoranti del gruppo editoriale. Tra le carte segrete pubblicate dall’inchiesta compare quella, scritta da Licio Gelli, sequestrata nel giorno del suo arresto in Svizzera nel settembre 1982, con un numero di un conto di Ginevra, dove il capo della P2 avrebbe custodito i soldi sottratti al Banco Ambrosiano, preceduto dall’indicazione “Bologna”.
Ma tutto questo sembra restituire un quadro che, seppur con qualche luce in più, è ancora cupamente fosco. Un quadro da cui si cerca giustizia ma che rivela sempre un cumulo di dettagli che non restituiscono contorni del tutto definiti, e forse verità che non vogliamo, in definitiva, vedere fino in fondo. Quelle di una silenziosa ma disastrosa guerra fredda tutta italiana, architettata da gruppi di potere, lobby finanziarie, estremisti di ogni colore politico.
Tra condanne, rinvii a giudizio, assoluzioni e nuove piste, ancora non c’è pace per le decine e decine di famiglie coinvolte dal folle attentato. In tutto questo sembra quanto mai importante fare memoria, come ha ricordato l’arcivescovo di Bologna Cardinal Zuppi, nella messa in suffragio delle vittime di Ustica e stazione di Bologna celebrata, alla presenza del Presidente Mattarella, giovedì scorso nella cattedrale bolognese di San Pietro.
Quel fare memoria che, seppur doloroso, ci fa provare «l’acuta e insopportabile ingiustizia della verità» – ha detto il Cardinale. Una mancanza di verità che è fatta di opacità, di mandanti – «che ci sono» – ha sottolineato con forza Zuppi – di complici nell’ombra, in cui «l’uomo è sconfitto» – ha continuato il Cardinale citando il suo predecessore Cafarra.
Dopo l’omaggio alla lapide che ricorda «le vittime della barbarie degli stragisti – ha affermato il presidente Mattarella – vi sono poche parole da poter pronunziare, e sono: dolore, ricordo, verità». Il dolore – ha sottolineato il capo dello Stato, che lo conosce bene, visto che in un attentato mafioso ha perso il fratello Piersanti – «non è estinguibile; è una ferita che non può rimarginarsi e che per questo motivo chiede ricordo. Il ricordo delle vittime, anzitutto, di quel che è avvenuto, per essere vigili, per evitare che si ripetano, che si ripeta qualunque avvisaglia di strategie del terrore come quella che allora fu messa in campo… Il terzo elemento che vorrei sottolineare: l’esigenza di piena verità, l’esigenza di giustizia, di verità completa che è stata perseguita con determinata e meritoria ostinazione dall’azione giudiziaria, dalla sollecitazione dei cittadini, dei familiari delle vittime contro ogni tentativo di depistaggio e di occultamento».
Ci furono giorni in cui, in Italia, avvenivano stragi sotto il sole d’estate. Stragi che cercano ancora, dopo 40 anni, verità; essa sola può rendere giustizia perché permette di costruire una democrazia effettiva, di affermare la dignità sacra dell’uomo, di portare alla maturazione di una coscienza civica solida e di arrivare ad una responsabile fraternità politica.