Storie olimpiche, storie a cinque cerchi

Ci travolgono (piacevolmente) per 16 giorni, ma i loro protagonisti le scrivono da quattro anni, o forse da tutta una vita
Fioretto femminile - Londra 2012

Michele Frangilli, l’arciere da 10 e lode (o meglio: da 10 e oro), sale per la terza volta sul podio olimpico a 16 anni di distanza dalla prima. Una perfetta ultima freccia per arrivare dove non era mai arrivato, per commuoversi durante l’inno pensando alla madre che non c’è più, «e che mi ha seguito anche a Sidney (argento, ndr), quando già stava male», e per rimuovere dalla mente del compagno di squadra Mauro Nespoli quell’ultima freccia di quattro anni fa a Pechino, finita lontana dal 10 e, di conseguenza, dall’oro.

 

E dire che Frangilli, a Londra, ha rischiato pure di non esserci a causa di un’allergia al mais saltata fuori durante i Mondiali di Torino del 2011 (valevoli anche come qualificazione olimpica). La storia a cinque cerchi, però, volle che un arciere della Nazionale tedesca, avversaria dell’Italia nella sfida decisiva per volare ai Giochi 2012, si fermasse per un banalissimo colpo della strega: lui rinunciò al match, Frangilli resistette, e il pass olimpico divenne realtà.

 

Storie a cinque cerchi, storie dell’allievo che supera il maestro, o qualcosa di molto simile. Come Elisa Di Francisca (nella foto insieme alle altre italiane premiate), che allieva di Valentina Vezzali non è, ma quante volte avrà provato a rubarle qualche segreto durante gli allenamenti (entrambe provengono dalla fantastica scuola di Jesi) e sognato di batterla ai Giochi. Ebbene, a battere la maestra (anzi, la regina) del fioretto mondiale ci ha pensato Arianna Errigo, inchinatasi poi all’amica Di Francisca, che su un podio completamente tricolore ha guardato tutti dall’alto. Altro allievo è Luca Tesconi, argento a sorpresa nella pistola 10 metri ad aria compressa: allievo, almeno simbolicamente, di Roberto Di Donna, «che nel ’96 vidi trionfare alla tivù (oro ai Giochi di Atlanta nella stessa specialità, ndr): stavolta è stato lui a vedere me, e dopo la gara mi ha pure telefonato per congratularsi».

 

Fin qui, alcune belle storie italiane. Alle Olimpiadi, però, di romanzi da scrivere e da raccontare ce n’è un’infinità, un vero e proprio universo. C’è quello, ad esempio, del portabandiera del Ruanda, Adrien Niyonshuti, un biker di 25 anni che nel ’94 sopravvisse a un terribile massacro (era il periodo della guerra etnica fra Hutu e Tutsi): morirono sei dei suoi otto fratelli e lui per salvarsi si nascose in un buco. Adesso, però, Adrien tiene a sottolineare che di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia (oggi il Ruanda è uno dei Paesi africani con la maggior crescita economica). «Non mi sento speciale rispetto agli altri – ha dichiarato –. Vorrei solo che, come risultato di questi Giochi, si possa guardare al mio Paese pensando allo sport: la prima cosa che la gente si ricorda di noi è il genocidio, ma accade ormai 18 anni fa».

 

E che dire della prima storia di Londra 2012, il caso della bandiera sudcoreana associata alle calciatrici della Corea del Nord? Forse è meglio prenderla sul ridere, magari costruendoci sopra una campagna pubblicitaria. Lo ha fatto una catena britannica di negozi di ottica: le due bandiere sovrapposte, e una scritta in coreano (la lingua, quella sì, è una sola) rivolta direttamente al Comitato organizzatore dei Giochi: «Sareste dovuti andare da Specsavers».

 

Storie a cinque cerchi, e storie di chi al sogno olimpico ha rinunciato per inseguirne un altro sogno. Stiamo parlando della sincronetta Beatrice Adelizzi, bronzo nel singolo ai Mondiali di Roma 2009 (il primo nella storia italiana di questa disciplina), che a inizio 2010 – nell’apice della carriera – decise di abbandonare l’attività agonistica per dedicarsi totalmente allo studio. Poco prima di Londra 2012, ecco arrivare la tanto desiderata laurea in Scienze chimiche. Il voto? Centodieci e lode. Come Frangilli, ma con un 100 in più: anche questa una medaglia d’oro.

 

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