Storie di rifugiati e non numeri
Entrando nella sala senatoria del Campidoglio a Roma ci viene consegnato un numero: il mio è il 194. Sulla seconda riga è scritto: primo sbarco 20 giugno 2014. Anch’io per qualche secondo non ho più una storia, un nome, una professione sono il 194, almeno qui invitato elegantemente ad accomodarsi in attesa degli invitati che daranno il via alle manifestazioni per la Giornata mondiale del rifugiato. L’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) ha scelto di celebrarla con una provocazione sottolineando una condizione dolorosa e tragica che ti priva di un passato e degli affetti per trasformarti in numero.
“Una storia dietro ogni numero” è infatti il titolo scelto quest’anno per sottolineare che nel 2013 i migranti forzati sono cresciuti di sei milioni a causa delle guerre in Siria, Centrafrica e Sud Sudan, toccando la cifra di 51milioni, la più alta dalla fine del secondo conflitto mondiale. Questi numeri equivalgono alla popolazione di intere nazioni come Spagna, Corea del Sud, Colombia ed è per questo che l’Unhcr chiede interventi decisi della comunità internazionale nella risoluzione dei conflitti antichi e nuovi, dove spesso è difficilissimo far giungere aiuti e protezione alla popolazione.
Le storie Alganesh Fessaha, eritrea e responsabile della Ong Ghandi è appena tornata dal Sinai, dove ha liberato con la sua organizzazione 650 persone dalle mani di una tribù di beduini salafiti, trasformatisi in trafficanti di vite umane. Non ci risparmia i dettagli delle torture e delle violenze subite da uomini, donne e bambini: picchiati, violentati, lasciati negli stenti per costringere le famiglie d’origine, già povere a versare riscatti corposi, anche 3500 dollari a testa per essere liberati, magari nel deserto e raggiungere le coste dove tentare la traversata della salvezza. “Nessuno vorrebbe fuggire dal suo Paese – precisa Alganesh – se non si imponesse il servizio militare obbligatorio anche ai bambini, se non si venisse bombardati o torturati senza ragione, se si potesse pensare ad una vita normale. Esistono i campi profughi, è vero, ma come possiamo pensare di costringere per anni giovani e famiglie a vivere negli stenti e senza prospettive di futuro?”
Il diritto d’asilo Gli sbarchi sono l’espressione più drammatica di questo esodo. Dall’inizio dell’anno in Italia sono giunti più di 60mila migranti: Siria, Eritrea, Sud Sudan, i Paesi da cui si fugge. Le guerre generano mobilitazioni interne o nelle nazioni confinanti o costringono alla fuga, perché le violenze, le aggressioni sono minacce alla vita, valutate più rischiose delle traversate clandestine.
Le raccontano senza orpelli e con crudezza le foto di Alessandro Penso che dentro un tir, lo stesso utilizzato in tanti viaggi della speranza, ha installato una mostra fotografica dove il sogno “europeo” di questi migranti è immortalato dai suoi scatti. La mostra itinerante sosterà a Roma fino al 26 giugno e poi in tappe successive (Milano, Ginevra, Strasburgo) raggiungerà Bruxelles, come un monito all’Europa per occuparsi seriamente di una riforma del diritto d’asilo e del trattato di Dublino che per le sue restrizioni impedisce di fatto ai migranti i ricongiungimenti familiari, se non dopo anni di reclusione dentro i centri di accoglienza o di vita randagia tra le stazioni e le periferie delle grandi città.
I numeri e l’impegno In Europa è la Francia ad accogliere il maggior numero di rifugiati, oltre 230mila, seguita da Germania, Regno Unito e Svezia. L’Italia ne ospita circa 78mila, destinati a crescere perché l’operazione Mare nostrum, messa in atto dal governo italiano per impedire nuove tragedie come quella del 3 ottobre scorso sulle coste di Lampedusa, raggiunge e salva in mare molte vite e molte famiglie.
Laurens Jelles, delegato per l’Unhcr per il sud Europa, precisa che non si tratta di migranti economici, ma di sfollati per le guerre e ai ringraziamenti “doverosi” per l’impegno della Marina aggiunge le richieste per il governo italiano: «Occorre lavorare di più per l’integrazione, vero anello debole della catena dell’accoglienza e passare dall’emergenza ad una programmazione del sistema d’asilo, che necessita di una riforma a livello europeo, ma anche una maggiore organicità interna». Il prossimo semestre vedrà l’Italia presiedere il governo dell’Europa e nell’agenda degli impegni non potranno mancare soluzioni e proposte per un differente modello di accoglienza, dove il “194” non è un numero ma una vita che cerca di continuare ad esistere.