Storie di oggi

Sempre più spesso il cinema racconta la fatica del vivere, dei giovani in modo speciale.

Riandando a fatti del passato come in Blackkklansman di Spike Lee. Un film molto intrigante, di rara acutezza  con  un senso  del grottesco invincibile, una ironia tagliente e l’amore per le citazioni cinefile dal technicolor di Rossella O’Hara al bianco e nero di Nascita di una nazione di David Griffith. Ma a Spike interessa raccontare  la storia magra dei neri d’America – con citazioni documentaristiche spiazzanti -, il razzismo strisciante e l’antisemitismo tuttora presente, Hollywood compresa. La storia è così semplice che sa di già visto, ma serve al regista come parabola sull’oggi.

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La vicenda del primo detective afroamericano Ron (John David Washington) che viene infilato tra i membri del Ku Klux Klan di Colorado Springs agendo in combutta con il collega bianco ed ebreo Adam Driver è scorrevole, ma è il trucco che serve al regista per dire la sua sugli Usa d’oggi, evidentemente in declino se hanno un presidente come Trump (filorazzista e antisemita?) e organizzazioni segrete, a sfondo di fanatismo religioso, ben vive.  Il ragazzo nero ce la farà a mettere in scacco sia i fanatici che i colleghi bianchi, però la stima verso di lui durerà poco. Della serie: è difficile per i giovani avere la gratitudine degli adulti, specie se sono di colore. L’America il problema del razzismo non l’ha mai risolto. Infatti va a gonfie vele anche da noi, dice chiaro il film di Spike Lee, che grida e piange sotto la scioltezza del racconto.

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E che i giovani vivano su strade difficili lo dice il lungo e molto parlato film del turco Nuri Bilge Ceylan L’albero dei frutti selvatici, un racconto situato in  un piccolo paese dell’interno. Qui torna  fresco di laurea Sinan, appassionato di letteratura, in cerca di soldi per pubblicare il suo romanzo. Tutto è difficile, promesse molte, fatti nessuno. In più la famiglia non funziona, il padre gioca e perde, la madre soffre. Sinan parla con tutti, con una ragazza, con gli iman, con il padre con cui il rapporto è difficile: perché l’uomo è un sognatore forse disincantato e il giovane uno che invece vuole vivere del sogno.

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Son due tipi scontrosi, difficili, ma sensibilissimi come i peri selvatici, che all’esterno sembrano brutti ma hanno la loro bellezza all’interno. Sullo sfondo di una Turchia agreste, indecisa tra passato  e presente, il film  spazia da momenti di contemplazione naturale bellissima a parole intime e forti, con una nota malinconica che lo avvolge sulla musica di Bach. Dramma passione poesia, per approdare ad una possibile riconciliazione degli animi.

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Quella a cui vorrebbe giungere L’uomo che uccise don Chisciotte, l’immaginifico film di Terry Gilliam. Un affresco onirico e surreale dove il regista Toby (un grande Adam Driver) non sa come finire il suo film sull’eroe di Cervantes (sarebbe il sesto sul personaggio, dal 1933). Da giovane ne ha già girato la storia e dunque – siamo in Spagna – si muove a ricercare i luoghi e i personaggi di allora. Sorpresa.  Il ciabattino di allora oggi crede davvero di essere l’eroe, Dulcinea è la escort del finanziatore russo del suo film…Così il lavoro si sdoppia, si triplica da film nel film, mescolando realtà e fantasia, follia e ragionamento, tutto  il possibile e l’impossibile.  Dove finisce il sogno e comincia la realtà? Qual è la verità? Forse tutto nel mondo è burla. Riflessione gioco, amarezza e alla fine  un po’ di amore per rifugiarsi nella fantasia e diventare tutti, da cavalieri dei Sancho Panza. Vero? Gilliam forse burla sé stesso e anche noi, ma con una certezza: il passato non sempre aiuta il presente.

 

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