Storie di donne alla Mostra di Venezia

La mostra parte alla grande con i film di Almodòvar – “Madres paralelas” – e Thomas Kruithof – “Les promesses”. L'universo femminile indagato senza remore.

“Donna, il tuo mistero è grande”, dicevano una volta. Ora il cinema parrebbe averlo svelato del tutto, visto le storie che ogni anno ci presenta. Ma sarà vero? L’opera Les promesses – sezione Orizzonti – è la vicenda della sindaca Clèmence che rappresenta la donna in politica – marito inesistente, figlio maschio che va a vivere da solo – e tutta presa nella città vicina a Parigi dai problemi dei concittadini e dalle proprie ambizioni.

Isabelle Huppert, definita “la più grande attrice del secolo XXI”, dà corpo e anima in modo meraviglioso a questa figura esile e determinata che mette in gioco sé stessa per salvare il quartiere periferico di immigrati presi in una spirale di degrado.

Sottoposta a pressioni dentro e fuori il partito, in lotta con la burocrazia, la donna reagisce con forza ma anche con compromessi e il regista, alla sua seconda prova, non smette di soffermarsi sul cerchio del potere politico, le sue seduzioni e gli ingranaggi che tentano la corruzione non solo di chi sta al potere ma anche dei poveri. Da che parte starà Clémence? Il film, schietto aspro e chiaramente reale, cercherà di dirlo.

Pedro ha fatto centro ancora una volta in un lavoro decisamente femminile come personaggi e sensibilità acuta. Anche se si parla di donne e di maternità il film ha un chiaro sottofondo politico – antifranchista – e dimostra come la guerra civile in Spagna non sia ancora dimenticata, anzi, non sia finita, pure se le giovani generazioni, come da noi, ne ignorano i dolori.

Janis è una fotografa famosa sulla quarantina che resta incinta da un antropologo incaricato di trovare la tomba in cui sono stati assassinati i suoi cari durante la guerra civile. Lui, Arturo, non vuole il figlio, lei sì. E si trova in ospedale con una ragazza minorenne, rimasta incinta durante una notte balorda – uno stupro forse, non denuciato – con amici. Janis è sola, la ragazza Ana vive con una madre attrice e un padre assente, cioè è anche lei sola. Queste due solitudini hanno avuto il coraggio di non rinunciare alla maternità, andando oltre l’età e i disagi sociali.

Ines – Penèlope Cruz nel ruolo forse migliore della carriera – e Ana – Milena Smit, talentuosa debuttante –, diventano amiche. Dopo il parto, ognuna continua la sua vita. Un giorno Janis ritrova Ana e la invita a vivere con lei: è sola, nasce una storia fra le due. Ma il dramma è ben presente: la piccola di Ana muore e un esame fa capire a Janis che la bambina non è sua figlia… Non sveliamo troppo, ovvio, solo che le due solitudini sono parallele come le maternità. Oggi le madri sono sole. Gli uomini anche qui o non ci sono o sono vili o talora ritornano.

Film di forte sensibilità, recitato in modo splendido, rinuncia ad orpelli e lungaggini, con tocchi delicatissimi svela la bellezza della maternità, pur in situazioni “irregolari”, e dei bambini, cioè della vita. Anche l’insistenza da parte di Janis di voler riavere le ossa dei parenti uccisi alla fine diventa desiderio di riannodare la vita del passato a quella del presente, pur nel dolore.

Il mistero della donna è legato alla volontà o meno di essere madri? La madre di Anna non lo sente, chiusa nella spinta alla carriera teatrale (qui Almodòvar spara la bordata: “gli attori son tutti di sinistra…”), ma è una anormalità, parrebbe. Il cuore del film dolente, raffinato, umano e commovente è la vita che non va rifiutata, nonostante tutti e tutto.

Se la mostra parte in questo modo la giuria internazionale presieduta dal sud-coreano Bong Joon Ho avrà da fare. Anche perché questa volta a Venezia più che un festival paiono più festival messi insieme.

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