Storie di crisi
Da sempre il cinema affronta i momenti critici della vita degli uomini e delle donne. Silvio Soldini è un regista che ama analizzare l’inconscio, lo stato che si muove all’interno delle persone, le cose tenute a freno e che poi esplodono, il dubbio se ci sarà un destino o meno. E quale, nel caso?
3/19 è il suo ultimo film e in verità non è un film facile. Camilla è una donna in carriera, separata ovviamente, con un amante occasionale – niente storie serie – una figlia anaffettiva che lei ha trascurato per il lavoro, con cui ha contrasti violenti. Siamo nella Milano bene, Camilla (Kasia Smutniak) è bella, efficiente, determinata, infallibile. Ma un banale incidente – un motorino le va addosso, uno dei due ragazzi immigrati muore – la scuote. Qualcosa si rompe dentro di lei, diventa ossessionata dal cadavere del ragazzo morto, viene in contatto con l’uomo dell’obitorio (Francesco Colella) e diventa stranita. Ha un passato di dolori irrisolti, come la morte della sorella, di sentimenti frustrati e li accantona in nome di un attivismo egocentrico che domina la sua vita.
Ma le crepe ci sono, Camilla se ne accorge, scopre mondi diversi – il mondo degli emarginati, degli immigrati – lontanissimi dal suo. Il tentativo di un rapporto con l’uomo dell’obitorio, una persona semplice, si fa difficile, perchè lei è divisa in sé stessa. Soldini scruta a fondo la psiche della donna, la sua corazza d’acciaio ferita, il tentativo di rinascere, di rapporti veri.
In questa storia si erge come personaggio la città di Milano, piani alti, grattacieli metallici, terrazze e ricevimenti, e dall’altra parte le periferie dei poveri, aiutati da preti e volontari.
Che farà Camilla? Vedere il finale per scoprirlo. Ma intanto Soldini in questo racconto un po’ criptico e cerebrale ha puntato la lama sulla psiche delle donne arrivate in carriera, gente di successo, diventate anaffettive e in realtà fragilissime. Il dolore le sveglierà, le ridimensionerà? La domanda resta aperta.
Altre volte sono gli uomini a dover fare i conti col passato. E non è facile.
A White, White Day Segreti nella nebbia è un lavoro scritto e diretto da Hlynur Pàlmason, vincitore del 37 Torino Film Festival. È l’Islanda con le nebbie, i ghiacci, la solitudine, il territorio fisico e dell’anima in cui si svolge la storia del poliziotto Ingimundur, depresso dopo un incidente improvviso in cui perde la moglie. Cerca di elaborare il lutto come può: si cura della nipotina di otto anni, Salka, costruisce la casa e si sottopone ad una terapia. Ma con lo psichiatra non si capiscono.
L’uomo ha troppo fuoco sotto il ghiaccio dell’apparenza, domande inevase, sensazioni tormentate. Indaga sul passato della moglie, scopre tracce di infedeltà, ne individua i responsabili, diventa violento. L’ossessione lo annebbia, fatica ad orientarsi.
L’uomo di mezza età, sicuro, attivo, è destabilizzato dal dolore, eterno problema da risolvere. Niente lo consola, il passato lo tormenta. Il regista non offre risposte consolatorie in questi spazi e giorni senza luce, di scarne parole, di rari momenti di conforto. Difficile accettare il presente. Recitato splendidamente dal cast, una fotografia gelida e parlante, ritmo stringente, il film ci prende e ci lascia con molte domande. Ci fa entrare in un mondo, quello islandese, che conosciamo poco, ed è un bene. Da non perdere.