Storie al cinema

La fine di Maria Antonietta e gli ultimi giorni di Modigliani. Due storie, due modi di rileggere il passato.
Guillaume Canet, Gianluca Jodice e Melanie Laurent alla presentazione del film 'Le Deluge' (The Flood) al Festival di Locarno. EPA/JEAN-CHRISTOPHE BOTT

Il Gladiatore II non ci basta, a quanto pare. Ed ecco Gianluca Jodice, il regista de Il cattivo poeta – cioè d’Annunzio- tornare con Le Déluge, ossia un film sugli ultimi giorni di Luigi XVI e Maria Antonietta travolti dalla Rivoluzione francese. Ed infatti sono entrambi frastornati, lui impeccabile vestito di bianco con parrucca e tricorno, lei più intelligente di lui e già terrorizzata. È il 1792: la famiglia reale viene arrestata, portata via da Versailles nella Torre del Tempio. Fine della gloria, della sicurezza, un apocalisse. Lei non l’accetta, resiste, si cura dei figli spaventati, lui appare più impassibile, si direbbe sciocco, non comprende parole come popolo o libertà. Vengono da un altro mondo e si scontrano con la vita reale, pagano per gli errori dei predecessori.

L’originalità del film non sta tanto nel raccontare la fine dei due re – cosa già vista altre volte – ma nel tessere un diario molto intimo, personale e perciò drammatico del rapporto fra i due regnanti, sposi per convenienza politica: lei che non lo stima e lui che invece ne è innamorato, per quanto goffamente. La solitudine, l’ansia, li costringono a guardarsi finalmente in faccia e a scoprirsi in quel che veramente sono: due esseri costretti ad un ruolo più grande di loro, ed ora soli, impauriti davanti alla fine di un mondo, di una società. E se lui accetta l’apocalissi, lei si sgela lentamente fino all’urlo più disumano, disperato.

Guillaume Canet e Mélanie Laurenti “vivono” i loro personaggi con lucida coerenza senza alcuna affettazione o esagerazione entro un ambiente perfettamente riscostruito negli ori prima e nella tetraggine del carcere poi, in un dolore che lentamente copre anche i loro poveri figli. Una tragedia familiare prima che sociale, detta in modo pulito, scarno, ove la sofferenza fa ritrovare la verità dei rapporti. Da non perdere.

Diverso, e molto, è Modì – Tre giorni sulle ali della follia in cui Johnny Depp, regista, racconta di Modigliani, tisico, disordinato, ribelle nella Parigi del 1916. Il pittore vuole tornare in Italia e vive notti folli con i colleghi Soutine e Utrillo e la modella-amante Beatrice Hastings tra droghe alcol e fantasmi di morte. C’è molto di Depp più che di Modigliani in un racconto un po’ enfatico, con un Riccardo Scamarcio dalla voce roca che fa un pittore senza equilibrio, in preda a visioni notturne in un cimitero, crisi esistenziali, a ribellioni. In sostanza, un film che è una preparazione alla morte. Ambientazione valida, interpreti convinti – tra cui Al Pacino nei panni del collezionista Gangnat -, regia non eccelsa. Insomma, Depp-Modì attraverso Riccardo Scamarcio e la pazzia degli artisti “irregolari”, in tutto.

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