Storico processo contro un ex dittatore
C’è bisogno di molta forza d'animo per ascoltare le testimonianze degli appartenenti alla etnia maya ixil nel processo contro l’ex dittatore guatemalteco Efrain Rios Montt. Spesso non parlano lo spagnolo e pertanto depongono nella loro lingua. Le atrocità che vengono evocate fanno venire la pelle d’oca. «I militari circondarono il villaggio», ricorda Pedro Alvarez Britos, che riuscì a scappare e vide come tutti gli abitanti furono introdotti in una casa alla quale venne poi dato fuoco… «Sparavano dagli elicotteri contro tutto ciò che si muoveva – dichiara una settuagenaria –. Morirono così, indiscriminatamente, bambini, donne ed anziani». Pedro Meléndez aveva dieci anni nel 1982, quando uccisero davanti ai suoi occhi il papà e lo zio. Insieme ad alcuni sopravissuti riuscì a scappare nella foresta, dove però vide morire di stenti i suoi tre fratellini di cinque, tre ed un anno.
Particolarmente dolorose sono le testimonianze delle donne, che furono violentate sistematicamente da militari e paramilitari eseguendo l’ordine di far terra bruciata attorno alla guerriglia sovversiva. Molte di esse appartengono agli ixil. Alcune hanno chiesto ai giudici di mantenere riservato il loro nome (nella foto, una delle testimoni con il volto coperto), perché marito e figli non sanno del calvario vissuto. Raccontano che le donne sposate venivano violentate da cinque o dieci soldati, quelle nubili da 15 o 20. Fa rabbrividire il caso di una bambina di appena sette anni, stuprata fino a morire… Le mani del cronista si rifiutano di aggiungere altri dettagli: i volti di queste donne parlano di raccapriccio, di atti disumani, del male su ampia scala.
Durante i 17 mesi della dittatura di Ríos Montt la violenza in Guatemala raggiunse livelli inediti. In 36 anni di conflitto interno, dal 1960 al 1996, si contarono 200 mila morti (la maggioranza appartenenti all’etnia maya), 45 mila desaparecidos, cifre alle quali vanno aggiunti i feriti e le persone torturate, su un totale di abitanti che si aggirava sui dieci milioni.
Ovunque l’esercito sospettasse che nelle zone rurali i villaggi prestassero aiuto alla guerriglia dell’Unità rivoluzionaria nazionale guatemalteca (Unrg), si procedeva a far terra bruciata, distruggendo i raccolti, confiscando o uccidendo il bestiame, assassinando i contadini, soprattuto nei dipartimenti di Quiché e Huehuetenango. Il documento della Conferenza episcopale sul recupero della memoria storica spiega che lo stupro fu utilizzato «come metodo di tortura, di omicidio e di schiavitù sessuale». Le statistiche dicono che un attacco su sei condotto contro la popolazione civile da parte dell’esercito e dei paramilitari delle Pattuglie di autodifesa civile (Pac) culminò in stupri collettivi. «I soldati ammalati di sifilide o di gonorrea erano gli ultimi ad abusare».
Ríos Montt, che governò tra il 1982 e il 1983, deve rispondere nel processo dell’assassinio di almeno 1.771 indigeni ixil. Il dittatore era un ex militare di carriera che apparteneva a gruppi pentecostali millenaristi. Si dedicava ad attività di evangelizzazione quando nel 1978 prese il potere. I suoi discorsi erano illustrati da citazioni bibliche. «Il buon cristiano – ebbe il coraggio di dire – è colui che ha in mano “la Bibbia e il mitra”».
Oggi siede sul banco degli accusati ed è il primo ex dittatore centro-americano a subire un processo per i crimini efferati commessi sotto i suoi ordini. Nel frattempo le organizzazioni di ex militari del Guatemala cercano di intimorire i giudici che portano avanti il processo, arrivando al punto di minacciare “gravi conseguenze” per i responsabili del giudizio. Insieme ai processi che in Brasile e, soprattutto, in Argentina, dove sono già decine le condanne all’ergastolo per i repressori dell’ultima dittatura militare, quello del Guatemala rappresenta una strada per fare luce e per dare giustizia dopo tanto silenzio e impunità. È difficile pensare che queste piaghe, che per decenni hanno sconvolto la gran parte dei Paesi latinoamericani lacerandone il tessuto sociale, possano essere curate senza che venga fatta verità e, prima di tutto, giustizia.