Storia di un rabbino

Un bel libro con un brutto titolo italiano (l’originale francese suona Eugenio Zolli, il profeta di un mondo nuovo) racconta in pagine essenziali la storia del rabbino capo di Roma durante la seconda guerra mondiale, il quale dopo una vita di ricerca e di studi, anche accademici, e di crescente intimità con Dio, trovò nel cristianesimo “il compimento della Sinagoga”, Dio in Cristo. La vicenda di questo grande cercatore, professore universitario, scrittore, è interessantissima, e lo è – lascio qui sullo sfondo specifico contesto ebraico con i suoi problemi – proprio come ogni ricerca sincera, profonda, disinteressata (la conversione, a Israel Zoller italianizzato in Italo Zolli e poi battezzato per sua volontà Eugenio in gratitudine a Pio XII, costò tutto), eppure felice e sempre più libera gioiosa leggera; di chiunque davvero approda a Cristo come alla terraferma della propria vita, all’arrivo certo dei cuori puri che, assicura il Vangelo, “vedranno Dio”. E infatti Zolli, già insegnando all’università di Padova, esplorava i nessi tra Antico e Nuovo Testamento, scriveva con il titolo Il Nazareno un libro che un vescovo recensì così: “Potrei sottoscriverlo”; e diceva: “I libri della Scrittura Sacra contengono molto più di quanto è in essi scritto. Anche la nostra anima possiede profondità sconosciute a noi stessi. Nelle pagine degli scritti sacri e nella nostra anima risuonano melodie nuove. Nel vasto mondo ci sono melodie che nessuno sente perché, nessuno ascolta. Quanto piango su tutta questa bellezza perduta!”. Nella Galizia polacca, durante l’infanzia agitata dai rivolgimenti politici, il futuro rabbino capo di Trieste e poi di Roma già si chiedeva, davanti a studi troppo formali, “la Torah (= Legge) non deve essere anzitutto vissuta? “. Poi venne la contemplazione della natura, poi una “voce che viene dall’infinito” a superarla e a chiamarlo: un’unità trascendente che d’altra parte si rivelava, pur incomprensibilmente, anche nel “Servo sofferente” di Isaia e nell’amore eroico – che per un ebreo ripugna con la giustizia – del Nuovo Testamento. Zolli incomincia allora a invocare, e gli accade involontariamente, il Gesù dei Vangeli, e a comprendere che “la conversione consiste nel rispondere a un appello di Dio. Un uomo non sceglie il momento della sua conversione, ma è convertito quando riceve questo appello da Dio. Allora resta una sola cosa da fare: obbedire “. E questo, perché “conoscere è amare; noi amiamo con il cuore e non attraverso nozioni ricevute da fuori”. Certo, il pensiero vi interviene, e lo fa con fine e decisiva penetrazione: Gesù “non è il Figlio di Dio – perché è il Messia, ma è il Messia – perché è il Figlio di Dio. “Messia” è la sua missione; “Figlio di Dio” è la sua relazione con il Padre. E dal concetto di “Figlio di Dio” emana la luce dell’exousia (= potenza), che illumina la missione, la nascita, la vita, le opere, la passione, la morte e la glorificazione di Gesù”. Quando, nel 1944, Cristo stesso, apparendogli in visione intellettuale durante la festa dello Yom Kippur, gli dice: “Sei qui per l’ultima volta. D’ora in poi seguirai me!”, è il compimento, e al compimento risponde la serenità dell’anima. Questo libretto, vivo ed essenziale, lo ha scritto non per caso un’ebrea di cultura francese anch’essa approdata, similmente, alla vita in Cristo. Judith Cabaud, Il rabbino che si arrese a Cristo, San Paolo, pp. 122, M12,50.

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