Storia di un papa che non è mai esistito

Cinquant’anni fa la profezia letteraria di Pietro Imberciadori: impressionante anticipo della realtà. Più che un romanzo di fanta-storia religiosa, sembra di leggere un commento – a volte incredibilmente letterale – ai gesti e alle parole di papa Francesco, quello vero!
papa

Lo scorso anno, poche settimane dopo l’elezione di papa Francesco, mi sono imbattuto in un libro il cui titolo, per la sua attualità quasi irriverente, ha immediatamente catturato la mia attenzione: Papa Francesco I. Storia di un papa che non è mai esistito (Kursaal, Firenze 1966). «In questo libro – ci avverte in prima pagina l’autore – descrivo la vita di Francesco I, papa regnante dal 1985 al 2005».

Quando cinquant’anni fa Pietro Imberciadori, già docente universitario e autore di varie pubblicazioni a carattere sociologico e pedagogico, scriveva questo romanzo, non poteva certo immaginare che la sua “profezia letteraria” sarebbe slittata direttamente nella realtà solo con qualche decennio di ritardo rispetto alle sue previsioni.

Ho iniziato la lettura del romanzo più per curiosità che per altro e, devo confessarlo, mosso anche da una certa diffidenza di fondo: «Vediamo dove vuole arrivare…» – mi dicevo. Provando pure un certo disagio per quel “Papa Francesco” stampato su carta, ormai ingiallita, con cinquant’anni d’anticipo.

Normalmente non sono solito lasciare i libri a metà, non rientra nella mia “etica di lettore”. Ma stavolta ho dovuto, forzatamente, fare un’eccezione: mi sono fermato dopo le prime cinquanta pagine scarse; ho richiuso il libro, l’ho riposto in biblioteca e ho cercato di lasciar decantare le impressioni che a caldo la lettura mi aveva lasciato.

Dopo un anno, sperando che quelle suggestioni fossero solo tali, nate magari sull’entusiasmo che l’elezione di Bergoglio in quei giorni suscitava nell’opinione pubblica, ho ripreso in mano il libro e ho riletto quelle pagine: quelle mie prime impressioni non solo si confermavano ma, dopo un anno e più di pontificato, si rafforzavano. E l’impressione è questa: più che un romanzo di fanta-storia religiosa, sembra di leggere un commento – a volte incredibilmente letterale – ai gesti e alle parole di papa Francesco, quello vero!

Per darvi un’idea, credo che la cosa migliore sia riportare testualmente alcuni brani del libro, limitandomi ad accompagnarli con qualche titolo didascalico.

 

Sul clima di attesa e di incertezza prima del conclave

«Il mondo cristiano attendeva il nuovo timoniere della chiesa e le anime tormentate si auguravano, sulla cattedra di Pietro, un uomo eccezionale, per il tempo eccezionalmente abnorme. Non si desiderava il solito ottimo diplomatico degli ultimi cento anni, ma un uomo, imitazione coraggiosa di Cristo, maestro, profeta e giudice» (p. 21).

«Attorno al conclave del 1985 regnava incertezza. Si faceva il nome di questo o quel porporato, ma, probabilmente, nessuno dei papabili sarebbe riuscito» (p. 21).

 

Un nome non scelto a caso

«Le forze sane del mondo fissarono, con fiduciosa attesa, il proprio occhio spirituale sul nome del nuovo Papa, non scelto a caso, da un uomo che avrebbe testimoniato, così si pensava, la lezione di Cristo» (p. 22).

 

Il primo discorso: uno stile che spiazza

«Queste le parole disadorne di papa Francesco fatte udire per la prima volta al mondo, fecero impressione negli ambienti ecclesiastici e in mezzo al popolo. Ancora non si poteva vedere con chiarezza ove volesse arrivare il suo pensiero, ma si intuiva che Francesco I avrebbe fatto quello che diceva» (p. 26).

 

Il commento degli ambienti ostili alla Chiesa

«È un papa che ci crede si cominciò a mormorare negli ambienti ostili alla chiesa» (p. 26).

«Francesco I, deciso a tutto osare per Cristo, avrebbe potuto ricondurre il papato, sulla linea dell’evangelo, riuscendo a “choccare” il mondo contemporaneo. Di questo si ebbe una sensazione esatta fin dalle prime mosse del suo pontificato» (p. 26).

«Gli osservatori del Vaticano si resero conto che la chiesa umana aveva al timone un papa che l’avrebbe modificata, radicalmente, nelle strutture, per adeguarla allo splendore della chiesa di Cristo» (p. 31).

 

Per un governo collegiale

«Fratelli, tre volte l’anno, tutte le diocesi del mondo manderanno un parroco rappresentante e, insieme, discuteremo del governo della chiesa universale» (p. 25).

«Insegnò al mondo che ogni forma di governo deve essere sempre personalista-creativa e comunitaria-fraterna» (p. 45).

«Partecipare al governo della chiesa vuol dire bruciare d’amore» (p. 49).

 

Una Chiesa in uscita e povera

«…prese ad uscire dal Vaticano e le sue mete erano le parrocchie. In un primo tempo uscì con la macchina, accompagnato dai poliziotti in motocicletta, poi varcando il portone di bronzo sempre più di frequente e non volendo disturbare il traffico cominciò a muoversi come un qualsiasi sacerdote. Grande fu la meraviglia quando si vide il papa a piedi per le vie. E addirittura sconcertò la stampa, allorché fu costretta a informare che il papa era salito in tram, come un qualsiasi cittadino» (p. 27).

Ai Vescovi: «Siate poveri […]. Fuggite dai palazzi, se in mezzo ai vostri greggi vi sono uomini che non hanno casa. […] Non indossate vesti costose e non portate al collo e alle dita ninnoli d’oro, se tra i vostri figli vi è qualcuno vestito di stracci» (p. 30).

I cardinali «avvolti nelle porpore, a gruppi incedevano lenti e pensierosi, intuendo che si sarebbe levato tra poco un uragano. Abituati, da secoli, a condizionare lo stesso pontefice, mal si rassegnavano alle innovazioni di Francesco I. Poco dopo apparve il papa dimessamente vestito…» (p. 33).

«Chi di voi avesse intenzione di vivere nella dissipazione, mentre ancora nel mondo tanti nostri fratelli soffrono fame, freddo e ignoranza continui pure per la sua strada. Noi lo puniremo con un solo castigo: il nostro esempio» (p. 34).

 

Sulla Curia

«Francesco I aveva sempre guardato alla curia con sofferenza. […] non eravamo più ai tempi, bollati da S. Bernardo e da Lutero, però la curia era ancora ben lontana dall’essere uno specchio evangelico e uno strumento spiritualmente efficiente» (p. 33).

«Finché nel Vaticano ci saranno uomini mondani, le forze del male del mondo non sono in pericolo. […] Le forze del male hanno fatto nascere e crescere a dismisura, all’ombra della cattedra di Pietro, la pianta del clericalismo. Il servirsi della chiesa per farne un temporale strumento di dominio ha contagiato Roma e, a macchia d’olio, si è diffusa nel mondo. Questa lebbra che attacca gli ecclesiastici e i laici militanti nelle file delle nostre organizzazioni ha generato reazioni contro Gesù» (p. 35).

«In Vaticano, dal servo dei servi di Dio al giardiniere, siamo tutti uguali e fratelli» (p. 36).

«I dirigenti sacerdoti delle congregazioni romane non dimentichino mai, che prima di essere dirigenti di curia sono sacerdoti di Dio. E allora predichino Gesù, nelle parrocchie al popolo, confessino, amministrino i sacramenti, visitino i malati. Insomma facciano i pastori» (p. 41).

«Non si può governare la chiesa se non si è soprattutto pastori d’anime» (p. 42).

 

Il Papa: un uomo come tutti

«Non ignoriamo le critiche fatte contro la curia romana, da amici e da avversari zelanti i quali, in buona o in mala fede, fanno ricadere le colpe e le debolezze nostre e vostre sulla chiesa […]. Siamo anche noi uomini fragili. […] L’ufficio del papa è grande, ma il papa è un uomo come gli altri. La stessa cosa si dica dei cardinali suoi collaboratori» (p. 34).

«Il papa è un pover’uomo, pieno di difetti come tutti gli altri» (p. 55).

«La folla non si stancava di gridare, a scroscio di voci sempre più forti, viva Francesco I. Il papa commosso accennava sorrisi e benedizioni e dentro la propria coscienza, di tanto in tanto, commentava: no, viva Cristo Signore, nostro Dio e maestro» (p. 55).

 

Al lettore non risulterà difficile rintracciare in questi brani, al di là della finzione letteraria propria del romanzo, i richiami allo stile di papa Bergoglio: a volte essi sfiorano addirittura la citazione letteraria!

È stato affermato che spesso gli scrittori sono in grado di anticipare il futuro: come gli uccelli migratori, se si è capaci di osservarne i movimenti, possono aprirci scenari e paesaggi inediti, ancor prima dell’avvento della nuova stagione. Qualcosa del genere credo si possa affermare di questo romanzo.

Confesso che la mia lettura, dopo un anno, è ancora ferma alle prime cinquanta pagine. Non so se e quando continuerò. Ho quasi paura di rovinarmi, anticipandolo, il proseguimento della storia (più che del libro).

 

 

Claudio Cianfaglioni

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