Storia di questa pagina

Pochi minuti per leggere e sottrarre peso alla vita, anche solo qualche grammo. Settecento parole al massimo. Uno spazio circoscritto, ma non angusto. Condividere il destino del pittore che sceglie una tela e deve starci dentro. Narrare, centellinando. Abbiamo poco tempo e molti impegni; giorni prosaici e sogni poetici. Una bella storia ci può solo far bene. E se lo fa in un tempo breve (che nel cuore dura a lungo) tanto meglio. Mi pare di non avere altro da dire come introduzione. Bene, allora comincio a raccontare. La prima storia è quella di questa pagina. Solitaria e bianca attendeva in una stanza. Di tanto in tanto vedeva uscire di casa pagine ormai pronte di articoli e racconti, le salutava con la mano, felice che fosse arrivato per loro il momento di andare nel mondo. Un giorno sarebbe arrivato anche il suo. Era ancora piccola, lo sapeva, non era prudente lasciare la casa. Cosa avrebbero pensato di lei, dei suoi 29,7 cm d’altezza e 21 di larghezza? Ma lei non aveva paura; voleva sapere com’era fatto il mondo là fuori, se erano persone gentili, i lettori, o giudici sgarbati e capricciosi. Voleva solo dare un’occhiata, sarebbe tornata subito a casa. Scelse di uscire di sera, quando la luce è poca, la gente torna dal lavoro, cerca un po’ di pace. Nessuno l’avrebbe notata e lei li avrebbe visti in faccia; le facce di chi torna. Indossò una giacca marrone, alzò il bavero fino a coprire il naso, mise pure un paio di occhiali, si guardò allo specchiò, sorrise. E uscì. Il vento muoveva le fronde degli alberi: danza conosciuta solo attraverso un vetro che adesso sembrava diversa. Anche le strade, quando ci sei sopra e cammini, sono tutta un’altra cosa. Devi prendere una direzione, smettono di essere una strada in generale, diventano la tua. Il vento muove i capelli, oltre alle fronde e le carte sui marciàpiedi ed è freddo quando ti soffia sul viso. Vide un uomo alla fermata dell’autobus. Si avvicinò, fingendo di consultare l’orario. Da dietro il bavero e gli occhiali fissò il suo volto: diceva sollievo e stanchezza. Si immagina già a casa sua, seduto in poltrona con un giornale in mano, o addirittura un libro, a concedersi una pausa per rifocillare la mente e il cuore. Pensò lei e con passo snello, simile ad un saltello, si allontanò. Passò accanto ad un taxi. Lanciò uno sguardo attraverso il finestrino. Il tassista aveva gli occhi spenti, poggiati su una rivista piena di foto a colori, la sfogliava come se cercasse qualcosa. Arrivò presto all’ultima pagina, poggiò la rivista sul sedile accanto e ne tirò fuori un’altra dal cruscotto. Lei lo osservò per qualche istante ancora, poi proseguì oltre. Incrociò un giovane con i capelli all’insù preceduto dalla musica in fuga dalle sue cuffie. Il ragazzo guardava dritto davanti a sé, non la strada, né i passanti – non si accorse neppure della pagina – guardava altrove. Le venne voglia di toccarlo per richiamarlo alla realtà e chiedergli dove stesse andando, se era bello il mondo sotto le cuffie, se ci passava molto tempo, prima di tornare in quello normale. Ma si vergognò e lo lasciò passare. Una scia di note, come un colpo leggero di coda, la sfiorò mentre si allontanava. Aveva fatto solo poche centinaia di metri da quando era uscita. D’un tratto si fermò, invertì la direzione e riprese, spigliata, la strada di casa. Stabilì che non c’era altro da vedere. Le erano bastati quegli incontri furtivi. Aveva capito che là fuori c’era posto anche per lei, non doveva aspettare di crescere. Piuttosto, doveva imparare ad assere veloce per stare al passo col mondo, leggera per cercare di sollevarlo. E breve, proprio come era: una pagina formato A quattro. Nient’altro. Era arrivato il suo giorno.

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