Storia di Giorgio

Questa non è una fiaba, ma una storia vera, di una famiglia vera che ancora possiamo conoscere e incontrare. Ma andiamo per ordine.
Illustrazione di Sean Scaccia

In un paese del Sud della Sardegna vivevano Giorgio, Daniela e i loro 4 figli. Era una famiglia semplice e felice, rispettosa dell’ambiente e delle persone, allenata a costruire rapporti fraterni con i vicini di casa, con i parenti, con gli amici.

Giorgio era molto bravo nel suo lavoro, che svolgeva con grande impegno e serietà, ma questo non è bastato a farglielo mantenere. Un brutto giorno, l’azienda in cui lavorava chiuse per sempre i battenti e tutti i lavoratori dovettero cercare un’altra occupazione, molto difficile da trovare in Sardegna. Per fortuna Daniela era molto brava nel suo lavoro e la famiglia poteva continuare ad andare avanti abbastanza serenamente, con qualche rinuncia, ma sempre con la gioia di volersi bene.

Un giorno, e questo sembrava un bel giorno, Giorgio ricevette una telefonata da un suo ex collega di lavoro: «Nell’azienda in cui sono stato assunto da poco, cercano una persona proprio come te, che sappia fare quello che tu sai fare». «Bellissimo!», pensava Giorgio mentre si preparava al colloquio nel migliore dei modi, ma… — ecco che qui quel bel giorno diventa un brutto giorno! — quell’azienda produceva bombe. «A che cosa servono le bombe? A fare le guerre, a distruggere la vita delle persone, le opere d’arte, l’ambiente. Non c’è una sola cosa buona che le bombe possano fare».

Era successo da poco, e Giorgio lo sapeva, che una di quelle bombe, prodotta proprio da quell’azienda, era stata trovata in un paese lontano, accanto ad un palazzo dove abitava una famiglia che è stata uccisa. «Una famiglia come la mia, con bambini e ragazzi come i miei!».

No, Giorgio non poteva proprio pensare di mettere tutta la sua bravura, tutto il suo impegno in un lavoro che uccide altre persone, che distrugge le città e l’ambiente. Quante vite spezzate, quanti crateri scavati, quanta vegetazione devastata, quante opere d’arte rovinate per sempre, quanto dolore! Alcune persone dicevano: «Ma se le bombe non le facciamo noi, le fanno altri, tanto le guerre non finiranno mai! Succederà che noi rimaniamo senza lavoro e basta». Ma Giorgio aveva sempre vissuto con l’idea che la guerra non è inevitabile, conosceva un’altra umanità e voleva far parte di questa.

Col cuore a pezzi, infatti, ringraziò l’amico per aver pensato a lui per un lavoro, ma disse di no. Tornò a casa e raccontò tutto alla sua famiglia. Non era facile. Qualcuno dei figli era preoccupato, ma Giulia, la maggiore dei 4, incoraggiò suo padre nella scelta: «Papà, se dobbiamo rinunciare a qualcosa, rinunceremo, ma tu hai fatto bene a non accettare quel lavoro», e Daniela, con la sua dolcezza e la sua determinazione, sottolineò che la serenità che regnava nella loro famiglia non doveva essere turbata da una scelta del genere e si offrì di lavorare di più, di più e ancora di più per sostenere la famiglia, piuttosto che dover dire ai propri figli che il loro padre per dar loro da mangiare doveva contribuire ad uccidere altri bambini.

Così il tempo passava… Daniela lavorava tantissimo, Giorgio cercava un lavoro, di qualunque genere, si faceva venire mille idee, ma niente di concreto si profilava all’orizzonte! Finché un giorno si imbatté in un annuncio: una ditta cercava proprio una persona con le sue caratteristiche. Evviva! Sì, però, si trattava di fare le valigie e lasciare la Sardegna.

I figli studiavano, la moglie aveva un lavoro e così Giorgio partì da solo, con le valigie cariche di dolore e di speranza, di fierezza e di fatica. Pesavano quelle valigie, pesavano di rinunce e di punti interrogativi, ma il cuore era leggero! Giorgio aveva scelto la pace e stava dando il suo contributo. Mentre lavorava con lena e si faceva volere bene da tutti, nella sua famiglia lontana capitavano delle cose difficili, come malattie impegnative, episodi scolastici e problemi seri che Giorgio avrebbe voluto vivere da vicino, sui quali avrebbe voluto intervenire quotidianamente. Appena poteva, tornava in Sardegna, stava vicino a tutti, ma poi doveva ripartire!

Giorgio non era solo. Ad Avezzano, dove era andato a lavorare, c’erano Carlo, Italo, Luigi e altri amici che lo facevano sentire meno solo ed erano per lui una famiglia. Altre amiche e amici lavoravano per riconvertire la fabbrica di bombe ad una produzione a sostegno della vita, perché il lavoro offerto fosse un lavoro di pace. Avevano persino creato una rete di aziende che tra di loro avevano fatto un patto: vivere di pace, aumentare il lavoro di chi vive in pace, creare prodotti che fanno del bene ai lavoratori, ai clienti e all’ambiente. Una sfida difficilissima, che solo insieme si poteva affrontare! Tutti si impegnavano, ma Giorgio era quello che portava il peso più gravoso, mentre lavorava, lavorava, lavorava. Se qualcuno gli chiedeva il perché della sua scelta, lui, però, rispondeva che non trovava niente di eroico: era normale, per lui che credeva nella pace, non volere contribuire alle guerre. Le guerre si decidono lontano e si fanno verso Paesi spesso poveri, o anche ricchi ma non tecnologicamente preparati, o collocati in zone geografiche di passaggio, guerre che si chiamano con nomi che confondono.

Si parla di “difesa”. Ma da chi ci dobbiamo difendere? Di guerre di “religione”. Ma quale vera religione può volere una guerra? Si parla di guerre etniche tra popoli che prima di essere armati da altri vivevano in pace nella diversità. La guerra è una brutta cosa e basta, ed è inutile, come diceva Igino Giordani, che aveva visto gli orrori delle guerre mondiali e aveva scritto un libro su questo, appunto, sulla inutilità della guerra. Così Giorgio lavorava in pace, con la pace nel cuore, pur tra mille e mille difficoltà.

Ma questa storia, che aveva aiutato molte persone a sperare, che tutti gli amici e le amiche raccontavano per spiegare che esistono persone normali e speciali allo stesso tempo, questa storia normale e speciale, anche se non è una fiaba, doveva avere un lieto fine. Un bel giorno, infatti — e questo era veramente un bel giorno! —, Daniela, un’amica che aveva una bellissima azienda agricola a Oristano, di quelle che avevano firmato il patto con altre aziende per “vivere di pace”, parlando con Giorgio aveva scoperto che lui proveniva da una famiglia di contadini, che aveva un grande amore per la terra e per l’ambiente e, siccome lei stava cercando un aiuto per la sua azienda, un’azienda speciale che aveva bisogno di un aiuto speciale, ecco: l’aveva trovato.

Giorgio era ancora sull’aereo che lo riportava in Sardegna, quando la notizia del suo ritorno si è sparsa tra gli amici e le amiche: poteva ritornare a casa e lavorare in un’azienda che costruisce la pace. E non è un lieto fine? Sì e no. Certo, lo è, ma questa storia non finisce qui, continuerà a viaggiare e a far sperare, farà dire a grandi e piccini che seguire la pace è difficile, che la pace non è fatta solo di bei sentimenti, ma di scelte talvolta dure, ma che ad un certo punto la luce si riaccende e va, va… e raggiunge tutti, anche te che hai letto questa storia, che non è una fiaba, ma una storia vera.

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