Moro: una storia in cerca di giustizia

La vicenda di Aldo Moro nella testimonianza civile del magistrato Gianni Caso.
ANSA

gianni-casoSolo il giorno del suo funerale molti degli amici di Gianni Caso hanno appreso la notizia del fallito tentativo di sequestro della sua persona quando era giudice relatore di Corte d’appello nel secondo processo Moro contro 67 esponenti delle Brigate Rosse. Il rapimento e l’uccisione, dopo la strage degli uomini della scorta, dello statista democristiano nel 1978 restano un mistero aperto nella storia della Repubblica. E proprio negli ultimi anni, Caso, nato nel 1930, magistrato e giurista napoletano con compiti di responsabilità a livello internazionale per il Movimento dei Focolari, ha voluto lasciare una testimonianza autorevole sulle tante incongruenze che hanno portato a riaprire nel 2014 una nuova commissione parlamentare di inchiesta dopo quella che ha terminato i lavori nel 1983, con numerose relazioni contrarie di minoranza. Apprezzato per la sua serena saggezza, lontano da ogni complottismo, il contributo di Gianni Caso, che ha lasciato le bozze di un’autobiografia della sua vita, va considerato come un atto estremo di coscienza civile. Sull’uccisione di Aldo Moro esiste una sterminata produzione saggistica, letteraria e cinematografica. Forse il recente spettacolo teatrale di Ulderico Pesce (Moro: i 55 giorni che cambiarono l’Italia), che racconta la storia con gli occhi del fratello di Raffaele Iozzino, uno dei poliziotti trucidati in via Fani, lo rende più comprensibile perché esprime la prospettiva di un uomo del Sud, legato alla terra e alla stessa signorile umanità riconoscibile in Moro e Caso. Quest’ultimo ci ha lasciato un intenso saggio pubblicato nel terzo fascicolo della rivista Nuova Umanità del 2015 mettendo in evidenza la sentenza della corte di Appello del giugno 1985, dove era stato relatore, in cui si fa riferimento ai servizi segreti che, pur sapendo tutto in anticipo, non hanno fermato l’azione dei terroristi.

Gianni Caso ricorda e riferisce il contenuto intimidatorio di un articolo (“il conte Attilio”) minaccioso e allusivo su Moro pubblicato sul Corriere della Sera prima del suo rapimento e non ha remore a riferire, sulla scorta delle indagini giudiziarie, la presenza di un ufficiale del Sismi (servizio segreto militare), addestratore della struttura segreta Gladio, sul luogo del massacro degli uomini della scorta di Moro. Altri particolari inquietanti stanno emergendo dalle nuove indagini in corso assieme a quelle della commissione parlamentare di inchiesta, ma ciò che risalta nella ricostruzione di Caso è il riferimento determinante al comunicato del Dipartimento di Stato degli Usa emesso il 12 gennaio 1978 con il quale la potenza nordamericana esprimeva la netta contrarietà alla linea politica di Moro che intendeva attrarre nel governo la partecipazione del Partito comunista italiano che si stava allontanando dalla stretta osservanza sovietica per arrivare ad una compiuta alternanza.

 ANSA/OLDPIX
ANSA/OLDPIX

Quel comunicato si collega alle intimidazioni subìte da Aldo Moro ad opera di Henry Kissinger, segretario di Stato Usa, come riferito ai giudici dalla moglie dello statista italiano e riportato nelle memorie dei più stretti collaboratori di Moro come il deputato democristiano Giovanni Galloni. Manovre che si concretizzarono, sottolinea sempre Caso, nella presenza di Steve Pieczenik, funzionario Usa, tra i consulenti del governo italiano nella trattativa con i terroristi. Su Moro si sarebbero, perciò, concentrate tutte le strategie contrarie al governo di solidarietà nazionale in procinto di presentarsi in Parlamento il 16 marzo 1978. Un’avversità condivisa, per diversi motivi, dagli attori internazionali (Usa e Urss in primis) come da quelli interni (il brigatismo rosso e le forze reazionarie contrarie alla Costituzione garantita dai cattolici democratici). Pochi mesi prima, sottolinea Gianni Caso, avevano raggiunto i vertici dei servizi segreti esponenti dell’alta burocrazia statale risultati poi iscritti alla Loggia massonica P2 di Licio Gelli. Cioè ad una struttura segreta eversiva, collegata alla strategia della tensione e ai tentativi di golpe, promotrice di un “piano di Rinascita democratica” opposto alla visione di Moro. Da questo evento traumatico, Caso intravedeva l’inizio di una grave involuzione della convivenza civile e politica a partire dall’aumento della piaga della corruzione. Chi ha conosciuto Gianni Caso lo ricorda per la sua capacità di interrogarsi e cercare percorsi di bene comune. Ha sempre dimostrato interesse per i movimenti sociali dal basso, a cominciare dal movimento studentesco. Negli ultimi anni si era dedicato, ad esempio, alla difesa dell’ambiente promuovendo l’approfondimento sulla categoria dei beni comuni da parte di “Comunione e diritto”, una rete internazionale di giuristi che ha coordinato per lungo tempo. Così, l’ultimo invito a “cercare ancora” la verità su una pagina oscura della nostra storia collettiva è nato dall’intima convinzione che una vera ripresa della democrazia in Italia potrà aversi «quando si conosceranno pienamente le motivazioni che hanno portato alla soppressione violenta di Aldo Moro e della sua azione politica». Gianni Caso ha avuto il suo “vespero senza tramonto” il 16 marzo 2017, l’anniversario del giorno in cui nel ’78, a Roma, furono falcidiati Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi e cominciò il calvario del politico che Paolo VI descrisse «uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico»

Cronistoria

16 marzo 1978. Il presidente della Democrazia cristiana (Dc), Aldo Moro, viene rapito da un commando di terroristi in via Fani a Roma. Nell’agguato restano uccisi due carabinieri (Oreste Leonardi e Domenico Ricci) e tre poliziotti (Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi). 9 maggio 1978. Un messaggio alla famiglia annuncia la presenza del corpo senza vita di Moro nel bagagliaio di un’auto parcheggiata in via Caetani, a pochi metri dalle sedi nazionali della Dc e del Partito comunista italiano. La documentazione della nuova commissione di inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro, istituita nel maggio 2014, è consultabile alla pagina http://parlamento17.camera.it/164

20031111 - ROMA - CRO - MORO: PRESTO RICHIESTA RIAPERTURA INDAGINI PER CONTO VEDOVA - Una foto d'archivio, datata 9 maggio 1978, del ritrovamento del corpo di Aldo Moro in una renault, in via Caetani a Roma. ROLANDO FAVA/ANSA-ARCHIVIO/TO
Una foto d’archivio, datata 9 maggio 1978, del ritrovamento del corpo di Aldo Moro in una renault, in via Caetani a Roma. ROLANDO FAVA/ANSA-ARCHIVIO/TO

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons