Stop alla tortura in nome di Giulio

Ad un anno dal rapimento del giovane ricercatore ucciso in Egitto, non si spegne la richiesta di verità. Manifestazione nazionale il 25 gennaio
ANSA/ ALFONSO DI LEVA

L’immagine di Giulio Regeni è ricomparsa sui media alla vigilia del primo anniversario della sua scomparsa in Egitto. Sono alcuni fotogrammi provenienti dai servizi segreti di quel Paese dove il giovane stava facendo una ricerca sui diritti dei lavoratori ambulanti nell’ambito di un un dottorato di ricerca sullo sviluppo economico finanziato dall’università britannica di Cambridge.

Quel volto è stato riconosciuto post mortem solo dal naso, come ha raccontato la madre che ha visto sul corpo del figlio lo scatenamento di «tutto il male del mondo».

La testimonianza della compostezza e dignità della famiglia Regeni ha sostenuto un’indignazione che non è scomparsa nel tempo nonostante il realismo dei governanti. La commissione Diritti umani del Senato ha opportunamente sostenuto la ricerca della verità sulla tortura e morte di Giulio e la sezione italiana di Amnesty International ha saputo rilanciare pubblicamente questa istanza di giustizia che non può accettare spiegazioni di comodo, come quelle avanzate ufficialmente immediatamente dopo il delitto.

Lo stesso ministero dello Sviluppo economico, guidato nel febbraio 2016 da Federica Guidi, aveva sospeso la visita nella capitale egiziana di una delegazione di 60 imprenditori fortemente interessati allo sviluppo degli scambi commerciali con un Paese da sempre strategicamente importante in campo energetico.

C’è stato, insomma, un reale interesse e coinvolgimento della società civile e a livello istituzionale con la ricerca di una difficile collaborazione tra inquirenti italiani ed egiziani. Ma resta il timore che, con il passare del tempo, l’attenzione si vada ad affievolire lasciando impunite gravi responsabilità e complicità. Amnesty propone per il 25 gennaio 2017 una serie di manifestazioni pubbliche a livello nazionale con evento centrale all’università di Roma La Sapienza.

 

Per essere efficace, secondo Amnesty, la campagna deve continuare esponendo in ogni occasione lo striscione giallo che chiede “Verità per Giulio Regeni” con l’intenzione di denunciare la pratica della tortura, in quel Paese. Secondo il portavoce italiano dell’organizzazione a difesa dei diritti umani, Riccardo Noury, «I riscontri delle sevizie sul corpo di Giulio sono la firma di professionisti della tortura, cioè di funzionari legati allo Stato egiziano».

Ma oltre all’indignazione, un passo coerente consisterebbe nella decisione italiana di fermare la fornitura di armi in Egitto dato che come ha più volte precisato Noury « l’Italia è stato l’unico membro dell’Ue che tra 2014 e 2015 ha venduto all’Egitto grandi quantità di pistole e fucili» nonostante una moratoria vigente a livello di Unione europea.

Un flusso che purtroppo non si è interrotto anche dopo la tragica scomparsa di Regeni, come riferisce, con l’abituale precisione, l’analista di Opal, Giorgio Beretta.

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