Stop alla fame, cercasi coraggio

Fao

Ancora una volta a parlare di fame. Oltre un miliardo e duecento milioni di persone soffrono la fame, un bambino ogni sei secondi muore per questo. Si potrebbe continuare, senza rabbia, ma con vergogna. E non solo perché gli alimenti prodotti sul pianeta sono sufficienti per tutti gli abitanti – anche con una popolazione in crescita –, ma perché le soluzioni a questa calamità sono note e percorribili. Eppure di fronte alla fame (e anche alla povertà) sembra prevalere una sconfortante rassegnazione che si sta trasformando in indifferenza, quasi si trattasse di situazioni strutturali, impossibili da estirpare. Per questo è sembrata utopia quanto emerso nel recente vertice romano della Fao: 44 miliardi di dollari l’anno sono sufficienti per garantire ad ogni latitudine la sicurezza alimentare. Una cifra insignificante rispetto agli oltre 1300 miliardi spesi annualmente in armamenti.

La fame è l’effetto della carenza di infrastrutture, di acqua, di fertilizzanti e sementi, di mancati investimenti e di reti commerciali che escludono le popolazioni delle aree più povere. E mentre gli affamati sono destinati ad aumentare (e gli aiuti dei Paesi sviluppati sono in continua diminuzione), rimangono invece le produzioni sovvenzionate e i modelli alimentari consumistici.

C’è un nuovo tipo di inquinamento che ormai pervade le politiche – si chiama egoismo – e ha introdotto la speculazione nei mercati degli alimenti (i cereali, per esempio) quasi che il cibo sia merce; o che consente di destinare i frutti della terra ad usi non alimentari (dalla soia al mais per i biocarburanti), magari instaurando lunghi negoziati internazionali per garantire prezzi e regimi commerciali.

La volontà di capi di Stato e rappresentanti dei Paesi riuniti alla Fao si è limitata a ribadire l’impegno comune sulla cui concretezza si spera non sia da attendere un prossimo vertice. Ancora una volta non si è colto che un’efficace lotta alla fame domanda responsabilità da parte di tutti perché l’aiuto o l’emergenza non può più essere funzionale a chi mette a disposizione le risorse o restare un vantaggio per ristretti gruppi di beneficiari. Finalità della cooperazione internazionale è l’uguaglianza secondo giustizia, un imperativo etico che presuppone la rinuncia ad interessi di parte, come pure a pensare che la tecnica e la scienza, da sole, possono essere la soluzione, ricordava Benedetto XVI nel suo intervento al vertice della Fao.

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