“Stiamo uccidendo il popolo siriano”
“Andiamo a vedere di persona e invitiamo altre associazioni che lavorano per la pace ad unirsi a noi. Vogliamo andare in Siria e raccogliere notizie di prima mano. Quello che la stampa statunitense ci offre non ci basta, non è tutta la verità”.
Questa convinzione ha spinto Alfred Marder e Henry Lowendorf del Us peace council, un’organizzazione statunitense affiliata al consiglio mondiale per la pace, una delle più grandi ong che siedono all’Onu, a partire alla volta di Damasco. A loro si sono uniti Madelein Hoffman, direttrice del New Jersey peace action, Joe Jameson coordinatore del Queen’s peace council e a Dona Nasser studiosa di giustizia riparativa sono partiti per Damasco.
Hanno visitato alcuni villaggi cristiani tra cui Ma'lula, unica cittadina dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù. Hanno incontrato mufti, vescovi, imprenditori, semplici cittadini, ministri del governo e alla fine per due ore hanno parlato con Bashar Assad.
Di ritorno a New York hanno convocato con l’aiuto dell’ambasciatore siriano una conferenza stampa alle Nazioni unite a cui pochi giornalisti hanno dato seguito. Questa parte di guerra sporca sono in pochi a volerla ascoltare e non solo negli Usa. Il vescovo ricevuto alla Commissione affari esteri del Senato italiano raccontando della miseria in cui le sanzioni occidentali hanno gettato un popolo e delle crudeltà perpetrate dai cosiddetti oppositori, ribelli, Esercito libero, ha provocato non poco imbarazzo tra i presenti, che della guerra conoscono solo la tirannia di Assad e il presunto ristabilimento di un governo democratico.
Alfred Marder, il più anziano del gruppo è il primo a prendere la parola e a denunciare senza mezzi termini uno schema di politica estera che il suo Paese continua a perpetrare incurante delle conseguenze. “Abbiamo visto anche in Siria riproporre la demonizzazione di una leadership per giustificare un intervento armato in aperta violazione alla Carta delle Nazioni Unite che chiede il profondo rispetto della sovranità di ogni stato”. Marder ha sottolineato che “la propaganda da mesi bombarda gli americani confondendoli e li invita a sostenere per ragioni umanitarie un attacco armato che riporti la pace e rimpiazzare il governo con uno gradito agli Usa.” Su quell’aereo diretto a Damasco, avevano invitato altre associazioni ma alcune hanno preferito restare fedeli alla “ propaganda”, altre hanno avuto paura e su quell’aereo non sono mai salite.
Gli incontri con imprenditori, con le organizzazioni di studenti o con chi lavora per gli orfani o insegna un lavoro alle donne rimaste sole sono stati toccanti. Henry Lowendorf racconta anche della commissione per la riconciliazione presieduta da un leader dell’opposizione e che non lesina aiuti neppure alle zone sotto assedio dei terroristi. “Terroristi e mercenari – ribadisce Lowendorf -, distinti dalla vera opposione politica che in questo momento sta lavorando con il governo per difendere l’unità nazionale”.
È questa,secondo gli attivisti la ragione, che sta consentendo ad Assad di resistere. Nessun siriano accetta la presunta divisione religiosa che gli Usa vorrebbero imporre al Paese come accaduto in Iraq e Afghanistan. “Quando abbiamo chiesto al Gran mufti quanti fossero i musulmani in Siria, ci ha risposto: ’23 milioni’. Lo stesso ci ha risposto il vescovo ortodosso quando gli abbiamo chiesto il numero dei cristiani: ’23 milioni’, cioè tutta la popolazione. Questa unità sta dando alla gente la forza di resistere all’invasione della più grande potenza mondiale e dei suoi potenti alleati in Europa e Medio Oriente”. Henry non riesce a dimenticare quella bomba caduta sotto i loro occhi nella facoltà di architettura uccidendo tanti studenti, molti dei quali impegnati nella ricostruzione della stessa facoltà.
Sulla crudeltà delle sanzioni e dei bombardamenti ha puntato il dito Madelein Hoffman direttrice di New Jersey peace action. Anche lei come tutta la delegazione non sapeva che le condizioni imposte dagli Usa erano pari a quelle imposte in Iraq e che su ammissione della stessa amministrazione americana erano costate la vita ad mezzo milione di bambini. “Niente medicine e niente latte in polvere. Ma anche nessun ricambio per le macchine delle industrie che non vorrebbero chiudere e continuare ad impiegare gente che nella disperazione rischia di passare dall’altra parte, dove i terroristi vengono ben foraggiati dai loro benefattori”.
“Non posso tacere quello che ho visto – ripete senza sosta Madeline -, in Siria non c’è una guerra civile: il popolo siriano è con Assad per lottare contro questi mercenari, che modificano costantemente nome per impedire di identificare chi li manovra. Solo così si spiega una così ferrea resistenza che ha fatto demordere gli Usa e i suoi alleati da un intervento sullo stile di quello fatto per Gheddafi in Libia o Saddam in Iraq”. Non poca sorpresa suscita nella delegazione il constatare che l’assistenza sanitaria e l’istruzione siano praticamente gratuite o sostenute da contributi esigui. La soluzione al conflitto proposta dai rappresentanti di queste associazioni pacifiste si articola in tre punti: fermare le sanzioni; chiedere le frontiere con la Turchia per impedire ai mercenari di rifornirsi in Siria ed infine portare alla ragionevolezza gli States “che supportano direttamente e indirettamente queste milizie”.
Quanto sia scomodo conversare con una persona a cui hanno ucciso un figlio, un nipote e con una figlia vittima di violenza, lo sa solo Dona Nasser , che alle richieste dei partner aggiunge la necessità che il popolo siriano si autogoverni senza ingerenze esterne. “Da studiosa della giustizia riparatoria sono rimasta impressionata dal lavoro del ministero della riconciliazione –continua la Nasser. Nonostante il trauma che tutti stanno vivendo si pensa al futuro con un approccio non accusatorio. Si invita chi si è unito ai mercenari a tornare indietro e abbandonare le armi, con la garanzia che anche le loro famiglie sono sostenute”. Si scalda la ricercatrice quando i giornalisti presenti chiedono della giustizia armata di Assad, del suo arsenale, delle torture. “Noi abbiamo visto un presidente che sta cercando di mantenere in piedi le strutture del suo Paese con tutte le sue forze e voi credete davvero che vada a bombardare i suoi stessi ospedali?”.
A chiudere la conferenza è Joe Jameson che sottolinea la decisionalità della battaglia per riconquistare Aleppo.
“Usare le rivalità regionali e i legami tra Arabia Saudita, Qatar, Fratelli musulmani contro uno stato che l’Onu considera legittimamente governato da un presidente eletto sotto il controllo dei suoi osservatori, è illegittimo. Gli Usa devono smetterla di supportare modelli di Islam malati mentre a Damasco per secoli l’Islam è stato più inclusivo e plurale di altre realtà nella stessa regione. Devono smetterla di voler cambiare un governo di unità nazionale e di bombardare sul Paese senza nessuna autorizzazione”. Il serrato botta e risposta con i giornalisti ha fatto sedere i pacifisti sul banco degli imputati. Sono stati accusati di connivenza con Assad per averlo incontrato, di propaganda perché sostengono una visione parziale e condizionata, di superficialità perché non hanno visitato i depositi di bombe governativi.
Qualcuno ha persino chiesto se il viaggio fosse stato offerto dal presidente, ma tutti hanno negato dimostrando l’autofinanziamento. L’altra faccia della guerra non piace, scomoda, costringe a non accontentarsi delle versioni ufficiali.
E’ quello che anche Città Nuova in questi anni ha provato a fare dando voce ai testimoni diretti della guerra, che non sono schierati pro o contro Assad, ma sono tutti in prima linea per la pace, per la fine di un conflitto insensato che ha distrutto il loro Paese.
(Leggi la seconda parte dell'approfondimento: Le scomode verità sulla Siria e il silenzio degli Usa)