Stazione Vittorio E
Jean ed io prepariamo la commemorazione, che avrà luogo alla sera, sul sagrato della basilica di San Giovanni in Laterano, là dove, già da sei anni, è stata deposta una lapide in onore delle vittime della miseria. Jean sta recandosi alla sede della nostra associazione per rivedere alcune traduzioni… Io mi dirigo verso piazza San Pietro, per andare a trovare Vittoria e Paula che sono alloggiate nelle vicinanze. Vorrei parlar loro di questa giornata, e leggere queste parole del papa, parole così confortanti… Infatti egli si augura che questa ricorrenza susciti nella comunità internazionale una sempre più viva coscienza di solidale responsabilità verso le popolazioni più povere, affinché esse siano riconosciute come le prime protagoniste della lotta contro la miseria. Le prime protagoniste contro la miseria… vorrei condividere queste parole con Paula e Vittoria. Che esse sappiano che lui sa… Il mètro è affollato. Noi ci dirigiamo verso l’ultimo vagone, sperando di trovare più posto. Non è così… Allora ci infiliamo tra la gente assai pigiata. Il mètro riparte, dopo una lunga attesa. Comincio a scrivere nella mia mente. Ci sono dei giorni in cui vivo scrivendo. In questo mese sono trent’anni di impegno. È tempo di scrivere del mio incontro con padre Joseph Wresinski. Si formano le prime frasi. Nel momento in cui la parola candore appare dentro di me, avviene lo shock, così violento che perdo conoscenza. Quando mi riprendo, c’è del fumo. Sono a terra. Dov’è Jean? Penso all’attentato di Madrid. C’erano state allora diverse esplosioni. Bisogna fuggire…Mi alzo. Ho male alla schiena. Non ho più la borsa. Dov’è Jean? Esco dal vagone. Sento gridare aiuto!. Dov’è Jean? Lo vedo, là, appoggiato al muro. Insanguinato dalla fronte alle scarpe. Guardo la sua ferita, proprio al di sopra dell’occhio. L’occhio è intatto. Cerco un fazzoletto. Niente borsa. Comincio a singhiozzare. Trascino Jean verso la scala mobile. Quella di sinistra è stipata. Ci guardano con occhi addolorati. Fazzoletti, fazzoletti!. Chiedo dei fazzoletti. Ne ricevo pacchetti. Bloccare la sua ferita sulla fronte. Singhiozzo sempre. All’uscita della scala mobile, un addetto del metrò ci fa stendere a terra. Attendere i soccorsi. A poco, a poco, altri feriti vengono stesi accanto a noi Le donne, noi piangiamo. I soccorsi cominciano ad arrivare. Maschere, bombole di ossigeno. Ordini, contrordini. Finalmente si chiede a chi è in grado di camminare, di lasciare la stazione. Delle sedie sono state messe in uno slargo. Aspettiamo le ambulanze. Sono le 10 e un quarto. Poi l’arrivo all’ospedale San Giovanni, a qualche centinaio di metri dal luo- go della commemorazione di questa sera. Jean è subito accompagnato per i punti di sutura. Io attendo, stesa su una barella, delle radiografie alla schiena. Ci sono feriti dappertutto. Man mano che arrivano nuovi feriti, quelli meno gravi, tra i quali mi trovo, vengono trasferiti in un altro corridoio. Chiedo notizie ad una infermiera. Sì – mi dice – ci sono dei feriti gravi, uno o due morti. Io penso alle parole di un amico sacerdote: Quando sento che è accaduto un incidente aereo – mi aveva detto – prendo il rosario e prego per tutte queste morti improvvise . Comincio a pregare, ma non ci riesco veramente. Quando arrivano nuovi feriti, cerco il loro viso: erano con noi nell’ultimo vagone? All’inizio del pomeriggio sono in attesa nella hall di radiologia. Siamo in molti. Una persona ha la spalla fratturata, un’altra il braccio. Una terza, completamente affranta, seduta guarda il pavimento. Tiene una borsa di ghiaccio sulla testa. Una ragazza bionda è scossa da irrefrenabile tremito. Una psicologa si rivolge a ognuno di noi. Avete bisogno di qualcosa? , mi chiede. Sì, ho bisogno di una radiografia alla schiena. Mi sorride: Pazienza, pazienza. Noto i suoi occhiali appesi al collo. Le chiedo di cercare Jean nella sala di attesa, ha bisogno di occhiali per telefonare, per avvisare le nostre famiglie. Nell’incidente abbiamo tutti e due perduto gli occhiali. Sento chiamare Monsieur Jean! Occhiali?. Gli presta i suoi occhiali. Interroga la persona che ha male alla testa: Voglio andare in un altro ospedale risponde. Siamo 164 persone, tutte insieme alle urgenze Alle 16 una infermiera del mattino mi riconosce: Non avete ancora fatto le radiografìe?. Cerca il mio dossier, poi attacca con lo scotch sul maglione le indicazioni per le radiografie. Come in guerra dice il radiologo, vedendo il biglietto. Poi, bisogna ancora attendere. In un altro corridoio. Passa un medico. Vedo dal badge che è il capo servizio del pronto soccorso. Fa una carezza ad ogni ferito con un sorriso di compassione. Ci fa un gran bene! Ecco, sono le 17, Jean ed io stiamo uscendo. Siamo sani e salvi Cinque punti di sutura, una costola fratturata. Signore, io ti prego per la signora che è morta nell’incidente. Aveva figli? Per coloro che sono in coma. Io ti prego per i feriti smarriti, per quelli che si sono trovati soli, la sera del 17 ottobre, per quelli che non avevano nessuno ad aspettarli. Grazie, Signore, per l’amico che ci accoglie all’uscita dell’ospedale: noi tremiamo come foglie. Grazie per tutti gli amici che nei giorni seguenti ci circondano. Finché siamo in questo mondo Dio non mette il sigillo né sul bene né sul male. Egli lo fa nell’ora del nostro esodo…(1). Signore, finché avremo il potere di scrivere sul manoscritto delle nostre vite dacci di servirti sempre… MONIQUE è volontaria permanente dei Movimento internazionale ATD Quart Monde (Aiuto ad ogni povertà Quarto Mondo), Con il marito Jean era a Roma il 17 ottobre scorso per commemorare, con gli amici italiani, la Giornata del rifiuto della miseria che è stata celebrata per la prima volta a Parigi, il 17 ottobre 1987, da padre Joseph Wresinski (1917-1988) fondatore del Movimento. Nel 1992 venne riconosciuta Giornata mondiale dalle Nazioni Unite.