Standard & Poor’s boccia l’Italia
A nessuno piace essere giudicato, soprattutto poi quando i risultati non sono proprio brillanti. È decisamente più frequente sentire uno studente attribuire la responsabilità di un voto basso alle presunte antipatie e idiosincrasie del suo professore, piuttosto che al suo studio distratto e intermittente. È naturale, lo facciamo più o meno tutti! Non deve sorprendere quindi che anche il ministro dell’economia, Fabrizio Saccomanni, e il premier, Enrico Letta, abbiano protestato pubblicamente per il giudizio negativo che è appena arrivato al “sistema Italia”, dall’agenzia americana di rating Standard & Poor’s. Ma,al di là delle proteste del governo, che si sa è parte in causa, come dovremmo interpretare questa notizia?
Intanto è importante capire chi è il professore che ci ha, ancora una volta, "bocciato". Le agenzie sono tre, le principali al mondo, Moodys, Fitch e appunto, Standard & Poor’s; offrono servizi di valutazione circa i rischi connessi all’affidabilità di imprese e stati. Sulla base di vari indicatori, i loro analisti indicano qual è, essenzialmente, la possibilità che un investimento, sia esso in una azienda privata che in uno Stato, vada a buon fine e di conseguenza, il rendimento che ci dovrebbe attendere.
Infatti, maggiore è il rischio che corro prestando i miei soldi, maggiori sono gli interessi che dovrei chiedere come contropartita per quello stesso investimento. Se per uno Stato, per esempio, la valutazione (il rating) è bassa, ciò implica che per quello Stato convincere gli investitori a finanziare il suo debito sarà più costoso. Per questo tutti vorrebbero valutazioni positive; perché così potrebbero trovare investitori a più buon mercato. Ora, pare, ci ha fatto sapere Standard & Poor’s, che la situazione italiana, da questo punto di vista, stia diventando sempre più critica. Il rating sul nostro debito, una volta allineato con quello dei paesi più affidabili, è ancora una volta peggiorato, con una prospettiva per il futuro ancora più negativa. Ciò significa che, se gli investitori crederanno a queste valutazioni, trovare finanziamenti diventerà sempre più costoso.
Fin qui, dunque, i tanti dubbi che possiamo nutrire sull’affidabilità e sulla veridicità delle valutazioni delle agenzie. E quindi, di conseguenza, tutte le cautele con cui dovremmo accogliere i loro responsi. Ma anche la loro immutata influenza sul sistema economico mondiale.
Quindi hanno ragione i teorici del complotto, che vedono dietro queste mosse la mano di “poteri forti” che vogliono speculare sulla debolezza degli Stati ed orientarne le vicende politiche? Non direi. Soprattutto perché, al di là del livello cui Standard & Poor’s ha collocato il debito italiano, non troppo distante da titoli spazzatura, che sembra eccessivamente pessimistico, i rilievi su cui gli analisti si sono basati sono tutti decisamente concreti.
In particolare: il costo del lavoro in Italia è superiore, principalmente a causa dell’elevata tassazione, a quello osservato nelle altre principali nazioni europee. Questo ha influenzato negativamente la competitività che ha portato, tra le altre cose, ad una contrazione di circa un terzo del mercato dei beni dei servizi tra il 1999 e il 2012.
Inoltre i tassi di interesse praticati dalle banche sono cresciuti in maniera eccessiva nel periodo post-crisi, nonostante la riduzione dei prestiti e gli aiuti pubblici, senza precedenti, di cui le banche hanno goduto. È vero che il rapporto tra spesa pubblica e entrate fiscali si è ridotto in questi anni, ma questo a causa di manovre sul lato del prelievo piuttosto che sul taglio della spesa; misure che, contemporaneamente, hanno rallentato la crescita. Infatti le uscite legate alla spesa corrente sono sproporzionatamene elevate rispetto agli investimenti pubblici che potrebbero attivare circoli virtuosi. In ultimo, le tasse sul capitale e sul lavoro sono ancora troppo elevate rispetto a quelle sulla proprietà e sul consumo. Il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, che dovrebbero partire a breve, avrà certamente un effetto positivo, ma più tardi di quanto previsto. Si conclude che gran parte delle sfide che il sistema economico italiano fronteggerà nel prossimo futuro derivano dai costi eccessivi della pubblica amministrazione, dalle rigidità del mercato del lavoro, dall’eccessivo cuneo fiscale così come anche dalle rendite di posizione di cui ampie categorie di lavoratori godono a spese della maggioranza degli altri.
A ben vedere, Standard & Poor’s, motiva la sua decisione sulla base di una realtà conosciuta da ogni italiano. La novità è che ora tali fatti sono stati resi noti, e con grande clamore, anche al resto del mondo. E questo, nonostante, l’inaffidabilità manifesta di chi produce la notizia, avrà certamente un effetto.
Siamo arrivati a questo punto dopo anni e anni di inerzia, negazioni, populismo, incoscienza mista a incapacità, scarso senso civico e opportunismo politico. L’attuale governo, per recuperare i danni fatti, ha un compito difficile, difficilissimo. Alcuni provvedimenti recenti sembrano andare nella direzione giusta. Ma gli investitori internazionali, e soprattutto i cittadini italiani, soprattutto i più giovani, si aspettano di più, molto di più.