Stan Swamy: una vita per gli ultimi

È morto il gesuita indiano Stanislaus Lourduswamy, da decenni impegnato nella difesa dei diritti tribali degli “adivasi” e per questo accusato di terrorismo. Si è spento a 84 anni a Mumbai a causa del Covid contratto in carcere.
Stan Swamy (AP Photo/ Rafiq Maqbool)

Il contributo dei gesuiti al cristianesimo in India è stato e continua ad essere fondamentale per una Chiesa che, da un lato, risale all’epoca apostolica come vuole la tradizione di Tommaso apostolo, e dall’altra, ha visto, poi, una svolta decisiva con l’arrivo dei portoghesi in epoca coloniale e di Francesco Saverio, uno dei primi compagni di Ignazio di Loyola, fondatore proprio dei gesuiti.

Molte zone del subcontinente sono state in questi ultimi cinque secoli evangelizzate dal carisma di Ignazio, spesso secondo canoni tradizionali, ma ancora più di frequente con la creatività ed il coraggio dell’iniziativa che da sempre caratterizza gli uomini che hanno seguito il santo spagnolo.

Proprio in questi giorni anche i media hanno dato risalto alla figura di uno dei gesuiti più noti dell’India dell’ultima metà del XX secolo e dei primi due decenni del terzo millennio: Fr. Stanislaus Lourdusamy. Conosciuto come Fr. Stan Swamy, è morto il 5 luglio dopo più di due mesi trascorsi in un ospedale cattolico di Mumbai, dove era stato ricoverato per serie complicazioni della sua salute anche a causa del Covid. Questo prete cattolico, anche se non di rado figura controversa, ha offerto un’immagine coraggiosa del messaggio di Cristo e della vocazione del cristiano nell’offrire la propria vita per i suoi fratelli e sorelle.

Nell’ottobre scorso, Stan Swamy era stato arrestato con l’accusa di essere coinvolto in attività terroristiche. I fatti si sono svolti lontano dalla metropoli di Mumbai, in quella vasta area nota in India come Chota Nagpur o adivasi belt. Gli adivasi sono le popolazioni tribali, considerate come il vero popolo originario (anche se distinte in molti gruppi etnici) del sub-continente indiano.

Dopo millenni in cui hanno vissuto in stato di sfruttamento e quasi schiavitù, ancora oggi si trovano ad essere vittima di latifondisti senza scrupoli e, soprattutto, da tempo sono oggetto di un agguerrito contenzioso fra i fondamentalisti indù ed il cristianesimo al quale in numero notevole sono stati introdotti proprio dai gesuiti belgi, in particolare da padre Constant Lievens, nel corso del XIX secolo.

Da quel momento i gesuiti hanno lavorato per continuare non solo un’opera di evangelizzazione ma soprattutto di promozione sociale e di alfabetizzazione, creando organizzazioni non a scopo di lucro capaci di portare migliorie impensabili fino a qualche decennio fa. La situazione di queste vaste aree, spesso coperte da foreste e che comprendono vari Stati dell’India centrale e orientale, resta precaria e con standard di vita ben al di sotto della media nazionale indiana. Tuttavia, grazie alla Chiesa locale, cresciuta in modo imprevedibile nell’ultimo secolo, è in atto una vera lotta per la difesa dei diritti e per la dignità umana.

Da vari decenni, inoltre, la zona è controllata da una persistente guerriglia di ispirazione marxista-maoista, i Naxalites, che sono arrivati a imporre una propria amministrazione parallela a quella del governo sia locale che centrale.

Fr. Stan Swamy si inserisce in questi processi all’interno dei quali, lui proveniente dalla città di Trichy nel Tamil Nadu, estremo sud della penisola indiana, si è inserito con coraggio e con una scelta radicale per gli ultimi e i diseredati, per le vere periferie dell’India, direbbe un altro gesuita, papa Francesco. Proprio per presunte connivenze con il terrorismo naxalite Fr. Stanny era stato arrestato nell’ottobre 2020 e trasferito immediatamente, a 84 anni di età e con una salute tutt’altro che stabile a causa del Parkinson e di altri problemi, nelle carceri di Mumbai.

Manifestazione per la liberazione di Stan Swamy (AP Photo/Aijaz Rahi)
Manifestazione per la liberazione di Stan Swamy (AP Photo/Aijaz Rahi)

Era accusato di aver fomentato atti di violenza castale in località Bhima Koregaon nello stato del Jarkhand dove operava da tutta una vita. Da quel giorno, nonostante tutti i tentativi di ottenere la sua liberazione, o almeno gli arresti domiciliari, sono falliti. La comunità cattolica in varie parti del Paese ha protestato vivacemente e a più riprese sia con cortei che con veglie di preghiera, ma le autorità sono rimaste ferme sulle loro posizioni e l’anziano gesuita è uscito dal carcere solo per essere ricoverato in un ospedale dopo aver contratto il Covid.

Quest’uomo dal carattere non semplice e indomito, come è stato ricordato durante i funerali dai suoi confratelli gesuiti, ha trascorso la vita per un impegno che non è stato né semplicemente di lavoro sociale e né solamente intellettuale. Le battaglie per gli ultimi Fr. Stan le ha combattute sapendo armonizzare al meglio la dimensione intellettuale con quella dell’azione concreta. Ha, infatti, lavorato per anni come assistente sociale in queste zone remote del sub-continente, ma ha anche svolto studi e ricerche presso uno degli istituti più prestigiosi dei gesuiti in India, l’Indian Institutte of Social Studies di Bangalore. Successivamente, tornando ad operare nelle comunità dei gesuiti presenti nel Jarkhand ha svolto non solo promozione sociale ma anche attività di formazione della popolazione tribale locale impegnandosi anche nella difesa dei diritti umani di questi gruppi.

La vicenda di questo gesuita ha suscitato una vasta impressione, non solo all’interno della comunità cattolica, che conta solo il 2% della popolazione dell’India, ma anche a livello nazionale. Quasi tutti i quotidiani hanno riportato la dolorosa vicenda dell’anziano religioso mettendo in evidenza come sia stato trattato senza considerare i diritti umani.

L’arresto del gesuita, infatti, non era avvenuto da parte delle normali forze dell’ordine, ma da uomini della National Investigation Agency (una sorta di servizi segreti che operano sul territorio nazionale indiano). Le connivenze fra gli immensi interessi economici che caratterizzano le aree occupate da questi gruppi tribali, le loro conversioni numerose al cristianesimo, oltre alla già citata presenza di guerriglia maoista, hanno reso la zona particolarmente delicata per la sicurezza nazionale.

Sotto l’attuale amministrazione Modi, poi, la questione delle attività sociali da parte della Chiesa è considerata sempre più come una strategia per raccogliere conversioni al cristianesimo. P. Swamy ha sempre negato le accuse che gli erano state imputate, sostenendo che alcuni documenti compromettenti erano stati inseriti nei computer da lui usati, che erano poi stati sequestrati. Per diverse volte i giudici di Mumbai hanno rifiutato la sua istanza di scarcerazione su cauzione fino al tragico epilogo degli ultimi giorni.

Senza dubbio, questo gesuita resterà un esempio di coerenza cristiana e di aiuto per gli ultimi ed i diseredati. La sua morte e la non curanza delle autorità amministrative lascia un’ombra preoccupante sulla capacità dell’attuale amministrazione di assicurare una vera giustizia nel Paese.

 

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