Staccare la spina dal lavoro si può?
Non c’è confine tra vita pubblica e privata. Sebbene io mi sforzi di separare i due ambiti, per avere equilibrio, riposo, intimità familiare, sperimento spesso un senso di impotenza. Specialmente di fronte a clienti/colleghi, che non hanno percezione del fatto che dietro un ruolo c’è una persona con una sua storia personale, e non solo un professionista a disposizione, via sms what’s up facebook messenger skype, a qualunque ora del giorno e della notte, anche per motivi futili.
Fornire il proprio numero di cellulare viene interpretato, talvolta, come un invito ad un rapporto confidenziale. C’è chi pensa, a conferma di questa ipotesi, che la disponibilità totale e la simpatia a tutti i costi, siano un elemento indispensabile per “fidelizzare” e che l’eccessivo distacco umano possa comportare la perdita del cliente.
Ma cosa dire allora di quelle professioni ad alto rischio di stress perché soggette ad un contatto fisico ed intimo, senza barriere, dove la richiesta di consulenza è più elevata perché riguarda la salute (l’infermiere, il medico, l’odontoiatra, lo psicologo, l’estetista)? Proprio questi avrebbero bisogno di riposo, che spesso non riescono a trovare.
A questo si aggiunge un clima confidenziale che si è instaurato in taluni contesti professionali, agevolato dalle numerose ore di convivenza, anche grazie all’influenza di alcune fiction come E.R. medici in prima linea, dove il lavoro sembra diventato il luogo dello svago per eccellenza, e si assiste ad una intimità di rapporti che certo non connotano un’agire professionale.
E’ anche vero che i rapporti autentici, le emozioni, la condivisione dei sentimenti arricchiscono il potenziale del gruppo e creano una coesione in grado di aumentare gli standard produttivi. Ma trasformare la cultura del team working in un clima da scampagnata estiva è ben altro!
Un amico medico mi racconta che «ahimè siamo nell'era telematica, dove chiunque si sente complice, confidente, benefattore, quasi amante. Non ci sono limiti, non c'è rispetto. Oggi per l’ennesima volta mi sento dire da un paziente “dottore, ormai mi ha operato, ora ci possiamo dare del tu”. C’è anche chi mi ha telefonato alle 6.40 del mattino per fissare una visita. Io ho solo un numero da 15 anni e terrò sempre e solo quello, lo dò senza problemi ai pazienti, fiducioso in un utilizzo ottimale, non invadente o eccessivamente confidenziale, tranne che non si sia sviluppato un rapporto di amicizia, ma voluto bilateralmente. È una questione di stile, forma mentis, educazione, ambito familiare.
Personalmente, prima di chiamare il commercialista o il medico, guardo l’orologio, e se è tardi ma urgente, chiedo scusa, telefono e non mando sms, lo chiamo dottore o professore o collega o per nome, senza nomignoli né uso di faccine sul cellulare, battute, considerazioni superflue, tenendo conto del fatto che sto entrando nella vita privata di una persona, non di un professionista full time.
Qual è altrimenti la differenza tra l’amico, il collega e l’intimità con il marito o la moglie, da cui deriva l’insostituibile calore familiare, il poter essere l’uno accanto all’altra 24 ore su 24 in modo esclusivo?».
Resta a noi, dunque, il potere di scegliere: spegnere o tenere accesi i nostri strumenti di comunicazione, per gestire l’invadenza di chi, in buona fede, è portato a considerare solo i propri bisogni.