Stabia, il sogno di un preside archeologo
Ci sono voluti decenni perché diventasse realtà il sogno, accarezzato da un preside col pallino dell’archeologia, di un museo dove ospitare tutti i tesori rivenuti negli scavi dell’antica Stabiae. Quella Stabia sparsa in lussuose ville romane di otium e fattorie agricole tra il pianoro di Varano affacciato sul golfo partenopeo e il fertile territorio ai piedi dei Monti Lattari, dove trovò la morte il celebre naturalista Plinio il Vecchio.
Dimenticato per secoli, scoperto e saccheggiato nel Settecento dagli scavatori borbonici, e di nuovo risotterrato, il terzo importante sito sepolto dal cataclisma vesuviano del 79 d. C venne parzialmente rimesso in luce, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, dalla testardaggine del professor Libero D’Orsi, che a Castellammare, la nuova città sorta accanto all’antica, adattò alcuni locali della scuola media di cui era preside ad antiquarium per accogliere le testimonianze che via via affioravano.
Col tempo però questo contenitore si rivelò del tutto inadeguato e nel 1997, vent’anni dopo la morte di D’Orsi, l’antiquarium dovette chiudere i battenti. Solo in anni recenti, alcuni dei reperti più preziosi sono andati in trasferta per il mondo, esposti in mostre itineranti. Stabia si è fatta così strada anche all’estero, lasciando stupiti e ammirati quanti conoscevano più che altro i celebri siti di Pompei ed Ercolano. Ma a quando l’atteso Museo?
Nel silenzio, qualcosa maturava nella zona alta di Castellammare, tra i boschi di castagni e nocciuoli di Quisisana sottostanti il Monte Faito, dove attendeva urgenti restauri e una destinazione d’uso un antico palazzo dotato di giardino all’italiana, già meta preferita dei regnanti napoletani dagli Angiò ai Borbone, che vi trascorrevano periodi di riposo e di cura presso le vicine fonti termali: un luogo di delizie trasformato in epoche recenti in collegio, poi in albergo e quindi abbandonato al degrado. E proprio la Reggia di Quisisana, dopo radicali restauri conclusi nel 2009, è diventata il nuovo Museo Archeologico di Stabiae “Libero D’Orsi”, inaugurato il 24 settembre scorso a integrare l’offerta culturale e il circuito archeologico delle ville di Varano.
Curato dal Parco Archeologico di Pompei, il percorso espositivo offre in quindici sale un quadro complessivo di Stabia e del suo territorio dall’età arcaica fino all’eruzione del 79 d.C. Oltre ottomila i reperti provenienti dalle ville romane, dalla necropoli di Santa Maria delle Grazie e dal santuario extraurbano in località Privati: affreschi che rispetto a quelli pompeiani sembrano caratterizzati da maggiore originalità e libertà dagli schemi accademici, raggiungendo, specie nelle decorazioni dei soffitti, risultati eccellenti; stucchi, frammenti di pavimenti in marmo intarsiati, corredi funerari, sarcofagi, sculture, strumenti d’uso quotidiano da cucina e da mensa in bronzo, terracotta e vetro, e poi anfore, attrezzi agricoli…
Fra gli oggetti in mostra, l’elegante cratere di marmo alabastrino proveniente dalla villa di San Marco, il carro agricolo in ferro rinvenuto nel quartiere rustico della villa di Arianna, l’intero triclinio affrescato dalla villa di Carmiano e altri frammenti dipinti spesso pervasi da una sottile malinconia: testimonianze pagane di un amore per la bellezza minacciata da caducità, quasi presagio del tragico destino che avrebbe spento la vita in questo incantevole lembo di “Campania felix”.
E siamo solo agli inizi, a detta del soprintendente di Pompei Massimo Osanna: il Museo, infatti, oltre ad ospitare attività didattiche e universitarie, vedrà in un prossimo futuro l’apertura di una nuova ala di esposizione, dove potrebbero confluire reperti provenienti dai depositi stracolmi di Pompei e quelli dalla stessa Stabia, dove gli scavi sono ripresi. Giace sottoterra un tesoro che attende di essere valorizzato, insieme alle altre potenzialità culturali ed economiche veramente notevoli di una città che stenta ancora a risollevarsi dalla crisi degli anni Ottanta. Sarà dagli orti, vigneti e uliveti di Varano e dintorni che verranno le nuove sorprese dell’archeologia vesuviana? C’è da aspettarselo. La millenaria avventura di Stabia non è ancora finita.