Squarci di amore e di compassione
Ancora studentessa, di ritorno da una visita ad amici, avevo ricevuto un grande pacco di biscotti. Ero contenta di portarli a casa, dove sarebbero stati tanto apprezzati dai miei numerosi fratellini che raramente potevano mangiarli. Attraversando la città di ritorno a casa, all’angolo di una strada è seduto a terra un uomo che chiede l’elemosina. Portato lì da non so quale ricovero, mi fece una grande impressione: era cieco, senza gambe, né braccia, un moncherino d’uomo. Forse era un invalido di guerra… Non sono riuscita a passargli davanti senza lasciargli il mio pacco di biscotti peer compassione. Non l’ho più dimenticato ed oggi, a distanza di 70 anni, mi chiedo come sia stato possibile che qualcuno lo avesse lasciato lì sul nudo selciato.
Un giorno attendevo un treno alla stazione quando ho visto un giovane uomo seduto ad attendere su una panchina. Aveva il volto sfigurato. La gente lanciava sguardi e poi volgeva gli occhi in un’altra direzione. Non era forse un Gesù anche lui, sfigurato come Lui in croce? Superando anche io l’istinto di fare la stessa cosa, mi sono avvicinata e l’ho salutato. È nato un dialogo e mi ha raccontato quante operazioni aveva fatto al volto per un tumore. Dietro quella sofferenza chissà che senso di abbandono doveva provare per il suo volto deformato!
Di ritorno da un incontro che aveva riempito il mio cuore di nuovo slancio nell’amare, salgo sul treno che era affollatissimo negli anni ‘70. Tutti gli scompartimenti erano occupati e i corridori strapieni di gente in piedi. Anche io ero in piedi e dietro di me un uomo si lamentava e si sentiva male. Avrei voluto chiedere a qualcuno seduto nello scompartimento di lasciargli il posto. Ma attendevo un rifiuto. Con coraggio ho iniziato a parlargli, ad interessarmi di lui con compassione… Non ricordo cosa ci siamo detti, ma piano piano si è calmato e non si lamentava più. Scesa dal treno alla fermata, mi ha salutata dal finestrino con un gran sorriso che esprimeva gratitudine. Oggi posso dire che l’amore è come una medicina.
È difficile a volte superarsi per andare incontro alle persone colpite da deformità ed è quello che mi è capitato l’altro giorno quando all’attesa del tram vedo un uomo su una carrozzina gravemente handicappato che attende anche lui il tram. Un uomo abbastanza giovane, i cui arti non sono cresciuti dalla vita in giù. Solo la testa e il torace sono quasi normali. Fa impressione. Supero quel senso di disagio e di compassione e mi siedo sulla panchina accanto alla sua carrozzina. Gli chiedo da dove viene. «Indovini», mi dice. «Forse dall’Est?». «Sì, ma indovini». «Dalla Turchia? «Sì!». Parliamo un po’. Il tempo non è molto, ma mi sento di dirgli: «In Paradiso correrà…». Mi guarda un po’ stupito… Il tram arriva: «Arrivederci e… grazie», mi dice. Gli sorrido e l’immagine di quell’uomo così crocifisso ma dallo sguardo sereno e rassegnato non mi lascia. Lo affido a Colui che si è identificato in modo particolare con chi più soffre in questo mondo. E ripenso a ciò che Chiara Lubich dice: «Siamo stati creati per essere un dono gli uni per gli altri». In effetti, questi incontri sono come punti luminosi che mi accompagnano nella vita.
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