Springsteen, Harper, Gorillaz e le novità del mese
Tempi duri richiedono buona musica. Tante sono le proposte in questi giorni, vediamo quali sono le più interessanti che ho scelto per Voi. La prima novità, fresca di giornata, riguarda uno dei più grandi nomi del rock’n’roll americano: Bruce Springsteen. “The Boss” è tornato con un album, il ventesimo della sua carriera, ricco di ispirazione personale e con uno stile che sembra richiamare l’era Born To Run. Il disco, intitolato Letter To You, è un’autentica dedica ai suoi compagni di viaggio, la E Street Band, con cui non scrive un disco dal 2014 ma con cui ha condiviso anni e anni di studi di registrazione e palcoscenici di tutto il mondo. Dodici tracce inedite, nove composte lo scorso anno e tre scritte nei primi anni ’70 tra cui la riuscitissima Janey Needs A Shooter e If I Was The Priest, suonata per la prima volta durante il provino con la casa discografica nel 1971. Un disco in puro stile Boss, d’esperienza. Tanta esperienza.
Chi ci ha sorpresi è invece Ben Harper, per la prima volta impegnato con un lavoro interamente strumentale e inaspettatamente minimale: Winter Is For Lovers. Per essere precisi, lo strumento è solo uno, la sua amata chitarra lap steel Monteleone, con cui ci accompagna traccia dopo traccia lungo la strada innevata rappresentata in copertina. «Sono un grande fan della musica classica, quella hawaiana e della chitarra blues e spero di aver in qualche modo rappresentato tutte queste influenze», dice lo stesso Harper. Un ascolto che trasuda inverno e nel contempo scalda.
Ottimo esempio di quanto possa essere vincente il binomio estro-produzione è l’ultima uscita dei Gorillaz. Il collettivo animato più famoso del globo è tornato a stupire (sì, ci riescono sempre) con Song Machine, Season One: Strange Timez, un’ora di arrangiamenti folli e voli pindarici in bilico tra elettronica, pop, new wave e tanto altro. Non a caso, l’elenco dei featuring è infinito e comprende nomi di altissimo livello quali Elton John, Robert Smith dei The Cure, Beck, Peter Hook dei Joy Division e New Order, St. Vincent, Joan As A Police Woman. Un album brillante, come Albarn ci ha sempre abituati.
Se cercate qualcosa in cui perdervi, invece, l’undicesima fatica di Laura Veirs, My Echo, è quello che fa per voi. Concepito come un bagaglio di emozioni contrastanti derivate dalla fine del rapporto coniugale con il collega musicista Tucker Martine, l’album esplora il subconscio della cantautrice attraverso un approccio folk dalle molteplici influenze. Un esempio può essere Another Space And Time, dolce bossanova fatta di ricordi, o End Times e Vapor Trails, i brani che chiudono il disco con un amaro ma consapevole addio a un amore che non c’è più.
Di tutt’altro impatto emotivo è invece Visions Of Bodies Being Burned dei clipping. Il trio rap californiano torna a sperimentare, questa volta soprattutto in collaborazioni. E convince. Something Underneath è un esercizio di stile notevole, ipnotico, a tratti noise, con protagonista la lingua di Daveed Diggs che si attorciglia senza perdere una sillaba. Looking Like Meat e She Bad tornano su sonorità già collaudate e Enlacing strizza l’occhio alla trap. Un altro capitolo fondamentale per chi conosce i clipping. o semplicemente per chi è curioso di ascoltare del rap contaminato di ottima fattura.
Nota di merito anche ai Songhoy Blues, una rock band originaria del Mali, ormai giunti al quarto disco prodotto da Matt Sweeney. Se vi piace lo stile Bombino, questo lavoro vi soddisferà.