Spiritualità comunitaria, esperienza e comunicazione…

Le parole di Chiara Lubich, la sua presenza carismatica, aprono il cuore e la mente, disponendoci a donare quanto abbiamo ricevuto. Riportiamo i vari interventi spontanei della tavola rotonda che ne è seguita, come da registrazione.
Seminario di spiritualità 2008

François-Marie Lethel, ocd, professore al Teresianum: L’esposizione di Chiara è stata per me molto bella e impressionante. Subito l’ho sentita in consonanza con santa Caterina da Siena, anche se lei non l’ha nominata. Caterina ha infatti un senso fortissimo dell’unità, della Chiesa come famiglia, di noi tutti in Cristo Gesù, della dinamica trinitaria per entrare nel costato di Gesù, unendo in modo organico l’aspetto personale e collettivo, perché nel costato di Cristo non si può entrare da soli. Il senso dell’unità di Chiara si dilata al di là della Chiesa cattolica. È molto attuale e molto importante la sua capacità di farsi uno con i non cattolici, con parole molto belle nei confronti delle altre Chiese cristiane. Chiara è assolutamente cattolica, ma ha un’apertura senza limiti.

 

Germán Sánchez Griese, del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum (Roma): Mi domandavo: da dove proviene questo carisma? Da dove nasce questa spiritualità, questa esperienza dello Spirito? Quindi, rivolgendosi ai membri del Movimento: Voi che siete gli eredi, la prima generazione, dovete approfondire tantissimo l’aspetto di Gesù abbandonato, per lasciare a tutte le generazioni questa esperienza dello Spirito che Chiara ha vissuto e condividere con tutta l’umanità questa esperienza originaria dello Spirito che nasce da un Cristo molto specifico che Dio ha permesso a Chiara di vedere.

 

Michel Vandeleene, focolarino, docente al Teresianum: Nelle prime lettere che Chiara scriveva alle sue compagne negli anni ‘44-’45, la si vede tutta presa da Gesù abbandonato, quasi infatuata, come la sposa del Cantico. Poi l’Amore abbandonato le fa scoprire le dimensioni della carità e scopre in lui colui che ha dato la vita per radunare i dispersi, la chiave per l’unità, il segreto dell’unum sint. Questo appare chiaramente negli anni 1947-48, ma già nei primi scritti, quando si va a trovare la radice, si vede che tutto è partito da questa scoperta di Gesù crocifisso e abbandonato.

 

Fabio Ciardi, omi, docente al Claretianum: Certamente l’unità è una utopia se non si è compreso Gesù abbandonato. Non si può arrivare all’unità senza dare la vita gli uni per gli altri come l’ha data lui.

 

Posso portare la testimonianza di un religioso che oggi dovrebbe essere a questo seminario, ma che ne è impedito perché gravemente ammalato. Sono andato a trovarlo e ho visto che sul tavolo, vicino al letto, aveva l’ultima edizione della Notte oscura di san Giovanni della Croce. Mi diceva: “Ho capito una nuova dimensione della notte oscura di Giovanni della Croce e ho capito una nuova dimensione della notte oscura di Chiara Lubich. La notte di Chiara non era per la purificazione, ma per la comunicazione del divino che le è entrata dentro. Umanamente lei non poteva più reggere il divino, ha vissuto un altro tipo di notte: dovendo essere canale di unità – questa la sua vocazione – si è sentita squarciata dalla totalità di Dio che le si comunicava”.

 

La notte vissuta da Chiara era, secondo lui, l’incapacità del fisico, del corpo, della psiche di contenere Dio. È così che lei è diventata lo strumento perché tutto questo entri nell’umanità. È proprio così: la trasmissione dell’unità passa attraverso il morire tipico di Gesù abbandonato: il divino che si apre.

 

Carmelo Mezzasalma, della Comunità San Leolino: In Teresa d’Avila, come in Chiara, la dimensione soggettiva e quella oggettiva non sono in contrasto, ma armonizzate nella realtà dell’essere Chiesa. Chiara ha avuto una irruzione straordinaria di Dio nella sua vita, che l’ha “sconvolta”. È da questa iniziativa di Dio che nasce il carisma. È stata anche l’esperienza di Ignazio di Loyola. Bisogna renderci conto di questo messaggio di Dio che vuole che la “spiritualità di comunione” entri nella Chiesa: Chiara, con il suo carisma, l’ha anticipata.

 

Fabio Ciardi: Dal punto di vista teologale l’unità scaturisce dal grido di Gesù abbandonato. Dal punto di vista storico, nella Chiesa di oggi, nasce dall’esperienza mistica di Chiara.

 

José Damián Gaitán, ocd, docente nell’Istituto di spiritualità di Madrid: La spiritualità della croce spesso ha portato ad una spiritualità individuale, perché il dolore e la sofferenza tendono a chiudere la persona su se stessa. Anche se a volte si dice: io offro per le altre persone, non sempre le altre persone entrano dentro di me. In Gesù abbandonato Chiara ci aiuta ad unire la comunione con Dio e la comunione con i fratelli. Non possiamo dividere una dall’altra, una è la radice dell’altra. Tutti vogliamo la comunione, l’amore, sentirci bene gli uni con gli altri. Questo desiderio, però, rimane una utopia, se non passa per la kenosi.

 

Forse nella storia della spiritualità non sempre c’è stato questo tipo di unità, questo livello di unità. Non dico nei santi, ma piuttosto nei trattati di vita spirituale. È molto importante distinguere i santi, che certamente sono stati condizionati dal loro ambiente, dai trattati che a volte hanno diviso i vari aspetti, come p.e. il mistero della kenosi dal mistero dell’unione con Dio. Invece per san Giovanni della Croce sono realtà inscindibili. I santi hanno sempre saputo integrare i vari aspetti.

 

Per quanto riguarda l’esperienza mistica, è vero che santa Teresa e san Giovanni della Croce hanno parlato dell’unione con Dio dentro l’anima, ma questa realtà non è mai separata dalla comunione con i fratelli. Infatti, Teresa, all’inizio del Castello interiore, rimanda al Cammino di perfezione dove dice che, prima di intraprendere la strada dell’unione con Dio, occorre l’amore reciproco tra le sorelle. Se non c’è questo amore, è inutile mettersi in una via di preghiera e di unione con Dio. Alla fine delle mansioni, poi, afferma esplicitamente che a Dio importa così tanto l’amore tra le sorelle che in contraccambio di questo amore farà crescere in loro l’amore per lui.

 

I santi, insomma, hanno sempre unito amore a Dio e al fratello, altrimenti non sarebbero santi cristiani. In Chiara l’amore reciproco è incarnato. Ci sono dei santi che hanno messo più in rilievo l’amore a Dio, oppure l’amore al fratello con la carità e con istituzioni concrete. Vivere con Gesù in mezzo, ante omnia, invece, è una novità che Chiara ha portato nella Chiesa, sia nella comprensione teologica sia nell’incarnazione, sia nel come vivere questa realtà giorno per giorno.

 

Bruno Moriconi, ocd, docente al Teresianum: Forse dirò una cosa scontata per chi vive la spiritualità dell’unità. Credo che nella spiritualità della Chiesa, in genere, cioè nell’approfondimento sul come diventare santi, l’aspetto del “castello esteriore” messo in luce da Chiara non si pone in polemica con santa Teresa, ma come completamento. A ogni santo viene data una esperienza. Anche a ciascuno di noi, nel suo piccolo, se rilegge la sua storia nello Spirito, è stata donata una esperienza. Chiara ha avuto una esperienza che non serviva soltanto alla sua santità personale che pure, ecclesialmente, non è rilevante. Avviene per Chiara quanto è avvenuto con santa Teresa di Gesù Bambino quando ha insegnato alla Chiesa qualcosa che la Chiesa sapeva già, ma non lo insegnava: che il Vangelo era per tutti.

 

Ascoltando Chiara ho capito che la sua esperienza, il suo carisma, offre un dono nuovo alla Chiesa. Nello studio della spiritualità insistiamo molto sul nostro rapporto con Dio, poi anche sulla comunità in chiave teologica (siamo tutti fratelli) o ascetica (aiutarsi, sopportare il fratello, ecc.). Ciò che va tradotto teologicamente, invece, è la comunità come luogo di esperienza di Dio, comunicarci ciò che si è sperimentato come motore di crescita. Nel Nuovo Testamento il quadro di riferimento che viene subito in mente è quello dei discepoli di Emmaus e degli Undici che l’hanno visto e non l’hanno visto. Comunicarsi l’incontro con Cristo: bisognerà trovare il linguaggio adatto.

 

Fabio Ciardi: Sperimentare la presenza di Dio in mezzo a noi, lo stesso Dio che è dentro di me. È lo stesso Dio, ma il tipo di esperienza è diverso. Si tratta di comprendere vitalmente le parole di Gesù “Dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20), di avvertirne la presenza, come leggiamo in Perfectae caritatis (n. 15): “… in forza della carità di Dio diffusa nei cuori per mezzo dello Spirito Santo (cf. Rm 5, 5), la comunità come una vera famiglia unita nel nome del Signore gode della sua presenza”.

 

Gode! Si tratta di qualcosa che si percepisce, di una esperienza che certamente a volte abbiamo fatto, quando ci siamo sentiti avvolti dal divino. È uno scatto, una realtà nuova che si crea – quella del Signore nella comunità. Se ne vedono i frutti dello Spirito, come i discepoli di Emmaus che sentono ardere il cuore e aprirsi la mente. Lui lo vedono e non lo vedono. Appena lo vedono, subito sparisce. Da cosa avvertono che era veramente lui? Dai frutti. A volte anche noi abbiamo fatto questa esperienza, in un incontro c’è capitato di sentire una gioia particolare, la pace, la forza di perseguire ideali alti…: sono i segni della Sua presenza. Il “santo” di oggi, diceva Chiara in una meditazione, è il Santo in mezzo a noi.

 

Bernadette Verhegge, focolarina: La santità che Chiara propone non è una santità singola. La santità, dice il Concilio Vaticano II, è essere Gesù (cf. LG 9 e 40). Per Chiara questa è una meta raggiunta insieme, come corpo. Tutto quello che lei ci ha insegnato ha questo fine: formare il Corpo di Cristo. Per Chiara questa è la vera santità. Nel Vaticano II c’è questa intuizione, Chiara ce la fa vivere.

 

José Damián Gaitán: Comunicarsi reciprocamente le esperienze è una pratica che esiste sin dall’inizio della Chiesa, nelle prime comunità cristiane, nella vita di alcuni santi che hanno trascinato altri nella loro esperienza. I mistici non possono non parlare. Però, quando parlano, sanno che le loro parole dicono molto meno di quanto hanno vissuto. I veri santi hanno sempre comunicato e noi abbiamo la possibilità di capire la loro esperienza. Ed essi continuano a costruire la Chiesa lungo i secoli, perché hanno messo in circolazione quello che Dio ha fatto capire loro.

 

Forse nella storia della Chiesa è nata in determinati periodi una certa diffidenza nei confronti della “esperienza”: solo “alcuni” possono avere delle “esperienze”. I cristiani ordinariamente avrebbero dovuto vivere solo i comandamenti. Il Vaticano II ha poi nuovamente universalizzato la santità, quindi tutti, anche i bambini, come dice Chiara, possono fare “esperienza” di Dio.

 

Comunicare i frutti dello Spirito ci permette di avere una esperienza di mistica comunitaria. Questo non vuol dire fare tutti la stessa cosa, ma una realtà più profonda. Il Vaticano II dice che “la ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio” (GS 19). A volte noi leggiamo questa comunione con Dio in termini individuali. Penso che quando qui si parla dell’uomo, si parli dell’umanità. La Chiesa è santa e ci santifica con i sacramenti. Però è anche vero che noi non possiamo diventare santi senza essere Chiesa. Da soli non possiamo; non lo possiamo senza i sacramenti, ma nemmeno senza i fratelli. Occorre “dimenticare” la nostra santità e vivere con “Gesù in mezzo a noi”. Questo ci fa diventare santi, ci fa diventare Dio, perché Dio è santo. È il processo di divinizzazione di cui parlano i Padri orientali: stare in Dio, stare in Gesù. Però non si può stare in Dio da soli, perché questo non è il disegno di Dio. Il disegno di Dio è fare un popolo nuovo. Senza i fratelli non possiamo essere santi; saremmo persone buone, ma non saremmo sante secondo il Vangelo. Chiara ci ha aiutato a recuperare la lettura dei santi del passato, spesso inquinate dalla interpretazione individuale della loro esperienza.

 

Carmelo Mezzasalma: Comunicare l’esperienza, il vissuto, è un punto fondamentale. Le parole di Chiara che abbiamo ascoltato non erano una lezione, ma una comunicazione di vita. La filosofia moderna ha completamente svalutato il concetto di esperienza. E noi cristiani non abbiamo saputo replicare a questo fatto culturale. Succede anche tra noi. Abbiamo il pudore di parlare di Dio. Abbiamo paura di avere il diritto di poter comunicare l’esperienza di Dio, come ascolto dell’altro, empatia, come bisogno di essere insieme.

 

Bruno Moriconi: Non solo non si comunicava, ma veniva proibito, veniva insegnato di non farlo, perché sarebbe stato un atto di presunzione. La novità di Chiara viene dopo questa esperienza diametralmente opposta.

 

Germán Sánchez Griese: Mi ha colpito l’aspetto positivo dell’ascesi di Chiara. Quale tipo di mortificazione, “fare morte”, occorre per far brillare la “spiritualità di comunione”? Si tratta di una ascetica molto positiva, perché consiste nel far morire tutto quello che mi impedisce di far sentire all’altro che lo sto amando. “Io sono pronto a morire per te”: è una via di ascesi che ha un valore infinito, soprattutto per le comunità. Essere capace di rinunziare a tutto me stesso, affinché tu possa essere te stesso.

 

Forse nella Chiesa, tra di noi, manca questa ascesi positiva, il parlare bene degli altri. È una grande novità che Chiara ci ha introdotto. Mi ricordo quando lei è venuta, insieme con altri fondatori, da noi all’Università Regina Apostolorum. Alla fine del pranzo ci ha detto l’importanza di non parlare male degli altri come un aspetto positivo dell’ascesi che costruisce la comunione.

 

Romano Gambalunga, ocd, docente al Teresianum: Mi hanno colpito le parole di Chiara sul partire dalla cima del monte, dalla perfezione, dal mistero di Gesù in mezzo a noi – che è la Chiesa -, del camminare di perfezione in perfezione. Mi ha sempre attratto l’intuizione che Gesù è la pienezza che c’è già e che tutto il cammino da fare è come scoprirlo, gustarlo, imparare cosa lasciare per lui. È la prospettiva del Vangelo, eppure è sempre rivoluzionaria.

 

Si è solito ripetere: il mio rapporto personale e individuale con il Signore, lì dove ritrovo me stesso, lo ascolto ed egli mi riempie, ci deve essere, non è surrogabile dalla dimensione fraterna. Dopo cerco di vivere la dimensione fraterna, riversando un po’ di questo amore negli altri. Mi sembra invece che Chiara dica un’altra cosa: Gesù lo trovo proprio nella relazione con gli altri. Il luogo vero dell’incarnazione è quello. L’interiorità trinitaria di Dio, nel quale Gesù ci vuole coinvolgere, è l’interiorità di Gesù in mezzo. Allora c’è una circolarità. Ma qual è il punto di partenza, l’origine della “spiritualità di comunione”? Penso in particolare alla Parola di vita…

 

Michel Vandeleene: Chiara, parlando dell’origine della sua spiritualità, dice che lei e le prime focolarine sono partite dalla fede in Dio Amore che le spinte ad amare i poveri. Poi, ritrovandosi insieme, è scattata la reciprocità dell’amore, la scoperta del comandamento nuovo, come comandamento specifico di Gesù, e il “patto dell’amore reciproco”.

 

Per Chiara il “patto” è stato sempre la porta di ingresso alla spiritualità collettiva, perché ha messo in moto la circolarità dell’amore. Vivendo il “patto”, lei e il primo gruppo, hanno fatto l’esperienza dei frutti dello Spirito, di Dio in mezzo a loro. Si sono rese conto che, senza programmarlo, si erano messe nelle condizioni di sperimentare in modo nuovo la presenza di Gesù in mezzo a loro (cf. Mt 18, 20). Hanno scoperto che la presenza di Gesù nella Chiesa non era soltanto nella liturgia, ma dappertutto. Per questo la spiritualità di Chiara è “laica”, è adatta a chi vive nel “mondo”, in ogni ambiente.

 

Chiara ha iniziato la sua avventura con il Vangelo in mano. Vivendolo, si sono evidenziate tutte le parole che poi sono diventati i punti della spiritualità, sintetizzati in 12 punti, tra i quali l’Eucaristia, la Parola, lo Spirito Santo, ecc. Questi “punti”, che sono tutto il Vangelo, sono tutti necessari, perché ci sia l’unità, quell’unità che è Cristo in mezzo alla Chiesa. Sono necessari la Parola, i sacramenti, l’unità con i pastori… Si vede che Chiara vive quello che la Lumen gentium dice sull’unità della Chiesa.

 

Lei ci ha sempre detto che nella “spiritualità di comunione” bisogna parlare. Però, aggiungeva subito dopo: attenzione a cosa comunichiamo e come comunichiamo. Tutto quello che sarebbe solo umano va mortificato. È sul silenzio che deve fiorire quella parola, che è Cristo in me, e che deve comunicarsi con Cristo nel fratello. È sul silenzio della creatura in me che io devo lasciar parlare lo Spirito. Devo poter dire come Gesù “Non vi chiamo più servi, ma vi chiamo amici, perché tutto quello che il Padre ha dato a me io l’ho dato a voi” (cf. Gv 15, 15). E così l’altro a me. Allora si diventa amici in Cristo, veramente fratelli, perché ciascuno dà ciò che il Padre gli ha dato, ma sul silenzio di sé.

 

In questo senso c’è una fortissima mortificazione delle parole inutili. Quante volte Chiara ci ha ripreso sui giudizi, la peste dell’unità! Andrebbe studiata accuratamente la pedagogia di Chiara. Lei è cosciente dei pericoli, come la vanagloria. Ci fa l’esempio di Maria che nel Magnificat comunica, anche perché Elisabetta è pronta. Perché il Vangelo dice che bisogna gridare il Vangelo dai tetti (cf. Mt 10, 27), ma non bisogna dare le cose sante ai cani (cf. Mt 7, 6). Per quello occorre parlare con prudenza. C’è una pedagogia, un’ascetica, che ha la sua radice in Gesù abbandonato, il mortificato, colui che addirittura non ha più parole.

 

Bruno Moriconi: Se è vero che Maria ha comunicato, è altrettanto vero che Elisabetta ha comunicato. In quel momento è accaduto qualcosa anche in Maria. Lì è l’accadimento della santità! Chiara è rivoluzionaria, perché solo su questa linea si può riformare la Chiesa e le sue strutture, si può parlare di ecumenismo e di dialogo interreligioso. Più importante dei sacramenti, è l’incontro con Dio in mezzo a noi, perché i discorsi più veri nella fede avvengono comunicando l’esperienza.

 

Carmelo Mezzasalma: Vorrei notare che Chiara mette al primo posto l’amore reciproco in un momento di pericolo, la guerra, durante i bombardamenti, ed è lì che Dio la incontra. Mi sembra che oggi nella Chiesa non sentiamo la stessa passione di fronte al pericolo di perdere la carità, l’amore reciproco, l’utopia di Dio, accontentandoci di avere organizzazioni perfette. I carismi nascono nel momento in cui c’è il pericolo che la Chiesa si dimentica ciò che va messo al primo posto. E Chiara, in un momento di pericolo, mette al primo posto l’amore reciproco, perché sotto i bombardamenti la vita può finire da un momento all’altro e solo Dio dà senso alla vita.

 

François-Marie Leithel: Una verifica di questa realtà è il riconoscimento da parte del Papa della eroicità delle virtù di Chiara Badano, una gen, un membro del Movimento dei focolari, morta a 18 anni. Quando si parla del pericolo, la prima verifica è il riconoscimento di un frutto. Quando le viene la malattia, terribile, si vede che tutto quello che la Badano ha ricevuto da Chiara fin dall’età di nove anni, Gesù abbandonato, le dà la capacità di affrontare dolori terribili, in senso assolutamente positivo, mai chiusa in se stessa: non pensa a sé.

 

José Damián Gaitán: Ritornando alla dinamica della kenosi, della morte che dà vita, volevo dire che quando tu dimentichi il tuo dolore per amare l’altro, questo è cristianesimo. I santi, più o meno tutti, sono passati attraverso il discernimento della Chiesa, che li ha portati anche a un perdere quello che sentivano come dono di Dio. E questo perdere ha portato frutto.

 

Teresa aveva scritto la sua autobiografia perché le sorelle conoscessero la sua esperienza, ma non fu loro concesso di leggere quel testo, allora scrisse il Cammino di perfezione. Allo stesso modo, le suore della comunità di Teresina hanno letto gli scritti solo dopo la sua morte. I santi hanno perso ciò che Dio aveva fatto con loro e solo perdendo hanno portato frutto. I santi hanno sentito l’esigenza di comunicare, ma sono passati attraverso il perdere e così hanno fatto crescere Gesù negli altri.

 

 

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