Spiragli di pace
Parlarsi fa sempre bene. Anche se le opinioni diverse paiono inconciliabili. Se ciò è vero nella vita di tutti i giorni, ciò è ancora più vero nella diplomazia. Le cosiddette “schermaglie diplomatiche”, troppo spesso preludio al conflitto, si stemperano a volte nel momento in cui ci si siede attorno a un tavolo. Come è successo a Milano, ieri al Centro Congressi: attorno a un tavolo ovale, il presidente russo Vladimir Putin, quello ucraino Petro Poroshenko, la cancelliera Angela Merkel e il presidente francese François Hollande.
Le immagini ci hanno trasmesso l’idea di un confronto aspro, fatto di voco alzate e di dita puntate. Ma nei fatti ci si è parlati, è stato sbloccato il “nodo gas”, cioè la Russia assicurerà per l’inverno incipiente agli ucraini il gas necessario per scaldarsi e si è affrontato il nodo dell’autonomia della regione di Donetsk, Luhansk e Novoazovsk, che Mosca desidera autonoma, fortemente autonoma da Kiev.
L’accordo con ogni evidenza non è stato raggiunto, ma il canale di dialogo rimane aperto. Con la mediazione franco-tedesca, che deve tener conto della fortissima ostilità dei Paesi ex-sovietici – Polonia e Ungheria in testa – contro Mosca e i suoi metodi assolutamente inaccettabili nella loro arroganza militare, ma anche dei timori economici dell’Europa occidentale, preoccupatissima delle ricadute sul Pil delle tensioni con Mosca. Il Cremlino da parte sua è costretto a battere in qualche modo in ritirata per via delle sanzioni che effettivamente hanno messo in difficoltà la crescita russa.
Il dialogo è aperto, questa è la notizia. Restano ferite da curare col balsamo della diplomazia e dei compromessi: le armi non farebbero che incancrenire la piaga.