Spesa proletaria ?
Cresce la richiesta di intervento della Chiesa nei conflitti del mondo del lavoro. Istanze e risposte dal basso a Milano.
Non è la Fiat, ma anche in questo caso c’è una sentenza del giudice che non viene applicata. La lettera questa volta è indirizzata al cardinale Tettamanzi di Milano, senza chiedere l’intervento della massima autorità dello Stato. Quasi un ritorno al tempo di Ambrogio, nonostante i tanti incontri e tavoli aperti davanti al Prefetto. Il vescovo come unico baluardo di ragionevolezza dentro un contesto che sembra non avere regole se non quelle dettate dalla forza.
Il lavoro fatto a pezzi
Gli autori sono 64 magazzinieri di 16 nazionalità diverse, assunti da una cooperativa che svolge lavori di logistica e smistamento merci in una grande struttura collegata ad un colosso della grande distribuzione. Si tratta della francese Carrefour, conosciuta anche con altri marchi come Gs, Diperdì e Gross. In Italia è seconda dopo la Coop che sta, tra l’altro, acquistando molti centri commerciali che il gruppo a capitale straniero cede nel Sud Italia. Rimangono le roccaforti storiche nel nord della Penisola. Il fatturato mondiale, comunque, si mantiene in crescita: 49 miliardi nel primo semestre 2010, + 5,9 per cento rispetto al 2009 secondo i dati forniti alle agenzie di stampa. Si piazza al secondo posto anche a livello planetario, solo dopo il gigante WalMart.
Tra gli addetti al magazzino e Carrefour non esiste formalmente alcun rapporto di lavoro. Che il centro logistico lavori solo o prevalentemente per la multinazionale francese sembra voler dire poco in un’organizzazione della produzione fondata ormai sulla relazione tra fornitore e cliente. Si chiama «segmentazione del processo produttivo», e i giuristi ne dibattono da oltre un decennio. Di fatto è un modo concreto per attenuare ogni responsabilità diretta del «cliente», che può benissimo rivolgersi ad un’altra cooperativa se non si ritiene soddisfatto. I licenziamenti sono infatti scattati dopo pressanti inviti ad accettare ritmi più intensi di lavoro e una diminuzione dell’indennità prevista in caso di malattia. Un comportamento antisindacale condannato dal giudice del lavoro di Milano, che ha ordinato il reintegro di tutti i dipendenti ingiustamente privati del lavoro e dello stipendio da giugno.
Sentenza rimasta senza applicazione. Così i lavoratori, davanti ad un’attività che non è certo in crisi, hanno iniziato ad adottare azioni simboliche come il blocco dei Tir che portano la merce da distribuire nel centro logistico della cintura urbana milanese. Oppure andando a caricare di beni di prima necessità i carrelli della spesa nei supermercati della Carefour, per poi presentarsi alle casse chiedendo di non pagare in nome del credito che vantano verso chi ritengono il loro effettivo datore di lavoro. Ovviamente le merci sono rimaste all’interno del perimetro del centro commerciale: erano infatti già pronte le telecamere della Digos a registrare ogni possibile responsabilità penale, oltre alle urla di chi ha chiesto i beni necessari per vivere. Pericolosi stratagemmi usati per farsi notare e ricevere ascolto. L’«ordine è stato rispettato» e, d’altra parte, tutti sanno che a nulla serve il muro contro muro. L’esposizione prolungata non giova, inoltre, alla società in questione come alle sue concorrenti. Tutte in qualche modo preoccupate per lo svelarsi di una responsabilità diretta verso le tante realtà satelliti, formalmente autonome, che dipendono economicamente dal loro «cliente».
La partita da giocare
Si può immaginare che Tettamanzi troverà il modo di offrire la sponda per soluzioni intelligenti. L’esempio del Fondo famiglia lavoro lanciato dalla Chiesa di Milano è stato un segnale che non vale solo come rimedio di pronto soccorso. Esiste infatti un serio e quotidiano impegno esercitato in questo momento di crisi, come dimostra l’emblematica testimonianza riportata su un numero del “Foglio” della pastorale del lavoro della diocesi lombarda. Nell’intervista ad un socio di Azione cattolica, delegato sindacale nella propria azienda del settore meccanico, si pongono in evidenza le tante contraddittorietà del tempo presente. Di fronte ad un’azienda che in dieci anni ha ridotto, per delocalizzazioni e cessioni varie, il personale da 450 a 150 dipendenti e si appresta ad un’ulteriore mobilità per altre 40 persone, il sindacalista dichiara di non aver fatto grandi approfondimenti teorici ma analizza in maniera esemplare la situazione. La contrazione dell’attività non nasce per raggiungere un equilibrio tra Paesi ricchi e Paesi poveri, ma solo per «aumentare i profitti dei soliti». Esiste un forte squilibrio nei confronti della proprietà aziendale: «le informazioni arrivano con il contagocce… per mesi si è appesi ad un filo» di fronte a «disegni inappellabili che passano sopra la testa, definiti altrove, senza una faccia a cui chiedere i perché e delle soluzioni alternative».
Ma arriva comunque il momento della responsabilità, quello in cui occorre «trovare nel negativo il positivo possibile. Anche se non si può evitare il male, anche se non c’è un patire comune tra chi il lavoro c’è l’ha e chi lo perde, sostenere chi e’ in difficoltà non ci è mai precluso». Si avverte la sproporzione di «persone, variamente assortite, che affrontano una partita molto più grande e importante di quanto è loro possibile». «Quello che disarma è il senso del proprio limite, del non poter cambiare più di tanto il corso degli eventi», andando incontro a stanchezza ed errori, «ma si sperimenta che c’è gente brava in giro. Senza che condivida le tue idee sul mondo, prova a sintonizzarsi con te, ti accompagna gratis nelle fatiche. Ti aiuta a reggere, ad assorbire le cattiverie senza rimetterle in circolo; prova con te a fare il possibile e, magari, c’è la possibilità che insieme si faccia una cosa giusta, ispirata a dei principi che ritieni importanti. Non cambiamo il corso della storia, ma cerchiamo di viverla nel modo più umano possibile».
Voce dal profondo delle nostre città destinate perciò a non diventare un deserto.