Sperare in terra di ‘ndrangheta
Chinato sulla terra cerca un germoglio, una piccola foglia che su quei tronchi tagliati possa far presagire la fioritura. E invece nulla. «Hanno fatto un buon lavoro, erano operai specializzati», commenta don Salvatore Santaguida, parroco di Stefanaconi nel vibonese. La voce è spezzata, ma l’amara constatazione non ha il sapore della resa. Anzi don Salvatore è determinato come non mai a ripiantare, «anche cento volte», quei mille alberi d’ulivo che la ’ndrangheta ha ordinato di tagliare la notte del 5 novembre scorso, quando i frutti erano maturi e pronti per la raccolta. Ora invece una distesa di rami secchi ferisce lo sguardo: uno spettacolo tetro che sembra assegnare un decisivo punto di vantaggio alla malavita. Perché questo scempio?
Cinque anni fa sei giovani senza lavoro bussano alla porta della canonica di don Salvatore. «Padre, noi non vogliamo andarcene dalla Calabria. Ci aiuti a restare» è la loro pressante richiesta. La supplica non resta tale: con la tenacia che lo contraddistingue don Salvatore li incita a mettere assieme le terre che posseggono o che hanno ereditato dai genitori per creare una cooperativa di prodotti biologi. Nasce Talità kum con il sostegno del progetto Policoro della Cei. L’olio pregiato prodotto da queste terre può garantire il loro futuro e sconfiggere l’ineluttabile emigrazione. E invece lo scorso anno il boss locale, che controlla commercio e produzione di tutto il territorio, chiede 400 quintali d’olio, un pizzo in natura. La cooperativa ha osato rispondere con un “no”.
E poco dopo per l’uliveto di sette anni è stata emessa la sentenza di morte: in una notte sono state segate, quasi alla radice, tutte le piante. Una perdita ingente: raccolto, ulivi e spese per estirparli e ripiantarli, mentre si profilano cinque anni di attesa prima di poter vedere nuovi frutti.
Scout e Movimento dei focolari, a fianco di questo sacerdote, lanciano una campagna: “Adotta un ulivo per la legalità”. Con 15 euro si può acquistare una nuova pianta e i contributi stanno generosamente arrivando. «Sai qual è la differenza tra i vecchi ulivi e questi?», mi chiede don Salvatore. «Questi nuovi alberi sono persone, coscienze che hanno deciso di essere al nostro fianco e di non lasciarci soli. E siamo davvero tanti».
Mentre percorriamo il perimetro del campo, una macchina sospetta fa da ronda alla nostra visita: questo prete scomodo è sempre tenuto sotto controllo da qualche scagnozzo. Ha subìto una decina di attentati ed è nel mirino della malavita, ma lui si smacca. Detesta essere chiamato prete anti-’ndranhgeta e mi proibisce di scriverlo: «Io non sono anti-nessuno, perché Gesù è stato sempre per tutti». Il suo sguardo mentre parla resta guardingo: la macchina non smette di girarci attorno e ci costringe a lasciare il campo in direzione della canonica. La stanza che ci accoglie è un piccolo laboratorio: tappi, attrezzi, seghe, etichette. Questo prete si è dovuto improvvisare artigiano e contadino per amore della sua gente anche se a lui non dispiace.
La sua occupazione principale però è quella di asciugare le lacrime per i tanti omicidi consumati nella sua comunità. Ci sono quelle manifeste di una donna, che fuori dalla chiesa continua a chiedergli risposte sull’assassinio del marito, avvenuto lo scorso gennaio: forse un errore. Ci sono quelle celate nello sguardo indagatore di un’altra ragazza a cui invece hanno ucciso il fratello. Al giovane autista che ci accompagna hanno assassinato il cognato. Su queste case aleggia la tragedia. All’uscita della messa si contano tante donne sole e vestite di nero.
Qui il tempo della resurrezione sembra distante. «Non è facile – continua don Salvatore –. Alcuni dei miei confratelli mi hanno detto di mollare, sento la solitudine, mancano le risposte della politica». Denuncia l’assenza di progetti per i giovani della sua piccola cittadina che non possono neppure andare al cinema o fare sport. E non c’è neppure il trasporto pubblico per coprire quei pochi chilometri che li separano da Vibo Valentia, dove invece le strutture ci sono. Resta l’autostop.
Arrivano poi le sorprese inattese, come quella del magistrato che ha donato un pulmino alla cooperativa e gli inviti ai convegni delle forze dell’ordine per raccontare cosa l’arma del Vangelo e della speranza possa operare. «Non si risolve fuggendo, ma amando ciò che non ti piace. Non c’è verità fuori dal cammino della croce e quello che mi tiene qui è l’amore disinteressato». Quello che sta facendo rifiorire anche l’uliveto di contrada Vajoti e di un altro appezzamento dove questi giovani vorrebbero far sorgere una casa per i campi estivi della diocesi e non solo. Il progetto prevede anche una fattoria didattica che avvicini alla terra, fin da piccoli, per imparare ad amarla, coltivarla senza trasformarla in avido possedimento che acceca e provoca morte. In questi campi senza motoseghe e armati di fede e sudore si prova a vincere la paura, si genera libertà.
Per conoscere e sostenere la cooperativa Talità kum si può visitare il sito www.cooptalitakum.it