Sparviero: non poi così cattivo
Alba di un mattino in foresta. Uno strano silenzio ci pervade. Solo il fruscio di alcuni rametti sparsi qua e là sospinti dalla brezza e di qualche goccia di rugiada che intraprende la via del suolo dopo aver indugiato sulle foglie. È quasi innaturale il mutismo degli inquilini alati, pur presenti tra le fronde, e mi chiedo il perché. Poi – ecco il motivo – fulminea, a zig-zag, un’onda grigio-ardesia svetta davanti a me e piomba su un tronco materializzandosi alla vista, mentre di scatto antepone gli artigli al corpo e alle ali. L’obiettivo è un codirosso, reo di non aver colto l’attimo di pericolo, perché troppo occupato alla ricerca di insetti tra la corteccia. Appena il tempo di emettere qualche grido strozzato ed è stretto tra le grinfie. Non ha più scampo. Sembra il racconto di un thrilling, un giallo al naturale con la vittima designata. Ma madre natura ha disposto così e il cattivo ha compiuto semplicemente il suo dovere. Nelle vesti meno amate è un uccello il cui nome viene associato, non di rado, a fini poco nobili di imboscata o di insidia: lo sparviero. Ma sarà proprio così? Una specie soltanto dedita al gusto dell’aggressione? Questo principe dell’agguato appartiene ad una specie predatrice sì, ma di peculiarità insospettate. Conformato fin dalla notte dei tempi per supremazie di velocità in spazi ristretti, lo sparviero onora il suo compito con forme da primato. Ali corte e rotonde perfettamente embriciate, coda lunga e rettangolare, vero timone a governo dei rivoli d’aria. Zampe sottili, ma sufficientemente tenaci e veloci a carpire, unghie affilate e robuste, capaci di penetrare per centimetri la carne viva. Vista precisa e acuta, con grande capacità di navigazione in scarse condizioni di luminosità. È poco visibile nel bosco, rimane fermo per gran tempo appollaiato a controllo di ciò che succede d’intorno, pronto però alla partenza immediata per una sortita a sorpresa, se le condizioni si prospettano a favore. Ma l’indole dello sparviero non si esaurisce qui. Anche se è il suo modo di procurarsi il cibo che lo ha fatto maggiormente cono- scere, altri ambiti lo mostrano in comportamenti ben diversi. Nel tempo delle parate nuziali vanta per la compagna cortesie aeree e giocosità ricche di volteggi, figurazioni ondulate ed emissioni sonore di squisita galanteria. Ha insospettate attenzioni e cure parentali in ambito familiare. Fedele al nido per anni, mostra volontà e tenerezza nell’accudire la prole o la compagna in cova. È il maschio in genere a provvedere al fabbisogni familiari. Di dimensioni ridotte rispetto alla femmina, ha l’incarico delle provviste, specie nel tempo delle prime settimane di vita dei piccoli. Il cibo spiumato e preparato su un posatoio non distante è tradotto e donato alla compagna con la delicatezza di chi è vicino a dei neonati. La preparazione minuta e la distribuzione del pasto sono prerogativa esclusiva della madre. Operazione delicata questa, in quanto i piccoli sono in genere di diversa età, e perciò necessitano di pezzetti adatti alle varie dimensioni delle fauci. Altro compito lasciato questa volta a chi è più possente, perciò alla femmina, è la difesa del nido. Quando i giovani sparvieri hanno raggiunto dimensioni rassicuranti, anche la femmina inizia la cattura e l’apporto di vivande. L’energia necessaria ora è maggiore e per la condotta di prede di oltre 100 o 200 grammi come una tortora o un picchio, servono i muscoli e la stazza della madre. Dopo l’involo iniziano le lezioni di vita. Papà e mamma per qualche tempo attuano tra il folto del bosco o sopra il limite degli alberi gli insegnamenti fondamentali per la sopravvivenza dei giovani: come si osserva il bosco, come si conduce un attacco, come si assolve nel migliore dei modi al compito di predatore, assegnato da madre natura. Lo sparviero è tornato al suo compito più conosciuto, ma in osservanza al proprio ruolo, quello di ricoprire un tassello piccolo ma importante nell’equilibrio armonico del mondo naturale.