Spagna, Sánchez ritorna dopo “i 5 giorni di aprile”
«I cinque giorni di aprile» sarebbe forse un titolo adatto per consegnare ai libri di storia la recente sospensione che hanno sperimentato i cittadini spagnoli (certamente non tutti), da quando il capo del governo, Pedro Sánchez, ha annunciato mercoledì 24 aprile che doveva ritirarsi per riflettere se continuare o no a tenere il timone del Paese. In quei cinque giorni gli avversari della destra hanno visto una delle tipiche messe in scena che Sánchez sa effettivamente attuare. Infatti, è riuscito a riempire le piazze di manifestanti per gridare: «Non arrenderti!». E non si è arreso, il che mette un punto interrogativo sulle vere intenzioni del presidente. La politica è fatta così, verrebbe da dire.
L’episodio ha permesso però ai professionisti dei media di evidenziare il percorso di Sánchez da quando si è ritagliato un posto di rilievo nella politica, a partire dal 2008 quando è stato eletto deputato alla Camera bassa. Cioè, un posto mediatico. Tutti lo ricordano come il fiero oppositore che dieci anni dopo il suo ingresso in Parlamento costrinse Mariano Rajoy a dimettersi dalla presidenza del governo, o come il primo a formare un governo di coalizione con un partito più a sinistra del suo, o il condottiero durante la pandemia, o, ultimamente, come il grande difensore dell’amnistia per i condannati degli episodi indipendentisti in Catalogna dell’ottobre 2017. Un percorso dunque di una personalità forte e determinata, che non si confà con la decisione di dimettersi. Infatti, analisti politici tra i più neutrali l’hanno giudicata con l’espressione: «No le cuadra», non ci sta, non torna.
Gli argomenti che Sánchez aveva manifestato per indurlo a ritirarsi, a riflettere, riguardavano in particolare le diffamazioni contro sua moglie, Begoña Gómez. Cioè, una serie di insinuazioni e accuse sulla gestione di influenze nello svolgimento del proprio lavoro, fondate però su ritagli di giornali e senza prove convincenti. Ancora prima erano state pubblicate storie di brutti affari, di dubbia veridicità, riguardo allo suocero. Ma fin dall’ultima campagna elettorale (2023), l’offensiva per gettargli addosso discredito è stata di una tale intensità che Sánchez ha deciso di tracciare una linea rossa quando gli attacchi hanno raggiunto anche sua moglie.
Una chiave di lettura su questo episodio, nettamente politica, riguarda la posizione dei socialisti in Spagna. Se da una parte la sinistra socialista governa il Paese, in coalizione con Sumar e diversi piccoli partiti, per un altro verso ha di fronte un’ampia costellazione di governi regionali in mano alla destra (Partito popolare) e all’estrema destra (Vox). Uno spiraglio è venuto nelle ultime elezioni basche del 21 aprile. Lì il nazionalismo di destra (Pnv) ha fatto pari con la sinistra indipendentista di EH-Bildu (Unire il Paese Basco) e sarà appunto il socialismo basco (Pse) la chiave per governare, come lo stesso Pse aveva affermato in campagna elettorale. Ora ci sono alle porte le elezioni in Catalogna del 12 maggio. Gli ultimi sondaggi parlano di una vittoria socialista che supererebbe la sinistra indipendentista attualmente al governo. E c’è già chi parla di un effetto collaterale sulla campagna elettorale in Catalogna del ritiro dei 5 giorni di aprile di Sánchez.
Certo, non c’è dubbio sul fatto che Sánchez si sia sentito ingiustamente ferito per gli attacchi a sua moglie. C’è però il dubbio che ne abbia approfittato per trarne un vantaggio politico. Oggi, come in tanti altri ambiti, i fili delle emozioni si intrecciano nella trama dell’arazzo politico.