Spagna: in pericolo il Parco Nazionale di Doñana
«Doñana», un termine che ha il suono della nobiltà femminile. «Doña», dal latino domina, è il modo cortese, in spagnolo, di rivolgersi alle donne, in particolare alla «dueña» (padrona) di casa. Doña Ana, dunque, sembra sia l’origine dell’attuale nome con cui si indica una riserva naturale della biosfera, situata in Andalusia. Uno spazio naturale che fin dal lontano XIII secolo appartenne alla nobile famiglia Medina-Sidonia, e dove Doña Ana de Silva, moglie del VII duca, aveva il suo particolare terreno di caccia privato nella seconda metà del XVI secolo.
L’interesse per conservare questo spazio è iniziato verso la metà del XIX secolo, quando alcuni naturalisti, soprattutto inglesi, evidenziarono l’importanza strategica dell’area per gli uccelli migratori che si spostano tra il continente africano e l’Europa. Un secolo dopo, nel 1952, ornitologi di tutto il mondo proposero l’internazionalizzazione di questo territorio, dando così inizio alla consapevolezza della necessità di curare e conservare l’area di Doñana. L’aspirazione si fece realtà nel 1963, quando lo Stato spagnolo acquistò circa 7 mila ettari, in collaborazione con il Fondo mondiale per la conservazione della natura (Wwf). Nacque così la Riserva Biologica di Doñana. Sei anni dopo è stato creato il Parco Nazionale di Doñana, che sarà ampliato e riclassificato nel 1978 e ancora nel 2004, fino a superare i 54 mila ettari.
Il parco ospita una grande varietà di ecosistemi e di specie animali: uccelli, daini, cavalli, cervi, cinghiali, tassi, manguste; e specie a rischio come l’aquila imperiale spagnola, il nono andaluso e la lince pardina.
Oggi la situazione di Doñana è preoccupante. La Commissione europea sta verificando se le autorità spagnole stanno adottando le misure necessarie per fermare il progressivo degrado della riserva naturale ed ha espresso la sua «profonda preoccupazione» per le condizioni in cui si trova. Dopo la sentenza con cui la Corte europea di giustizia condannava la Spagna, l’estate scorsa, per non aver protetto adeguatamente l’acqua e gli habitat del parco, ora la Commissione esprime i suoi dubbi sul fatto che siano stati messi in atto gli «sforzi necessari» richiesti da Bruxelles.
Il problema di fondo è in fin dei conti riconducibile all’acqua, aggravato da una situazione di siccità che induce a prelievi illegali di acque sotterranee, soprattutto per le colture d’irrigazione. Nell’area di influenza socioeconomica che si trova attorno al parco (oltre 200 mila ettari) abitano più di 44 mila persone, e per soddisfare le loro richieste il governo autonomo dell’Andalusia vorrebbe regolarizzare circa 1.460 ettari di colture finora tollerate ma giuridicamente illegali.
C’è inoltre di mezzo un problema di competenze, perché se da una parte la gestione del parco naturale spetta al governo autonomo andaluso, è pur vero che lo status giuridico dell’area naturalistica è quello di «parco nazionale». Perciò il governo centrale potrebbe impugnare le misure proposte da quello andaluso. Al riguardo, Inmaculada Nieto, portavoce del gruppo Unidas Podemos del parlamento andaluso, espressione dell’opposizione, è contraria all’ampliamento della zona irrigabile a spese del parco, e avverte: «La legalizzazione crea un problema nell’area e tra gli agricoltori, comporterà sanzioni milionarie da parte dell’Ue e mette a serio rischio, quasi irreversibile, una riserva che è stata già gravemente danneggiata dal sovrasfruttamento della falda acquifera di Doñana, aggravato dalla siccità».
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