Spagna, lo svuotamento delle campagne
Ultimamente si parla molto, ed è motivo di intensi dibattiti, di Spagna svuotata, che non significa vuota. C’è una connotazione semantica intenzionale che costringe a fare una lettura diversa del problema. Cioè: prima non era vuota, ora sì.
E ad un tale svuotamento si legano secondariamente diversi altri problemi, talvolta conflittuali, che riempiono le pagine dei giornali e attirano l’interesse degli studiosi: migrazione interna ed esterna, degrado del mondo rurale, divario tecnologico.
C’è però anche chi si augura che uno degli effetti della pandemia sia la fuga dalle città e il ritorno alla campagna. Perché dunque svuotata?
La ricercatrice Elisa Oteros-Rozas della Università della Catalogna( cattedra di Agroecologia e sistemi alimentari)ha recentemente pubblicato le conclusioni di un suo lavoro per la fondazione Fuhem sulle problematiche ambientali in relazione alla coesione sociale e alla qualità democratica, e non solo. Esperta in questioni di ambito rurale, la ricercatrice afferma che lo spopolamento viene da lontano, essendo iniziato almeno cinquant’anni fa, ma sarebbero oggi particolarmente interessanti le “dimensioni” che caratterizzano il problema.
Dal punto di vista economico, Oteros-Rozas sottolinea che si è passati da un’economia basata su «mercati locali, regionali e in parte statali» ad una «economia di mercato globalizzato».
L’effetto sull’agricoltura e l’allevamento è che queste attività non rappresentano più un settore primario, ma sono state incorporate in «un sistema agroalimentare complesso, globalizzato, fortemente collegato al mondo finanziario, industrializzato, orientato all’accumulo di capitale nelle mani degli oligopòli dell’agroalimentare, delle biotecnologie e dei prodotti farmaceutici».
Una tale trasformazione ha portato la Spagna a essere oggi il «più grande produttore industriale europeo, e uno dei principali al mondo, di mangimi e bestiame».
Una seconda dimensione del problema è quella ecologica ed ambientale. L’industrializzazione delle coltivazioni non ha solo spinto tanti ad abbandonare i campi, per cercare lavoro nelle città, ma ha anche provocato la «contaminazione da nitrati del suolo e dell’acqua a causa dell’irrigazione fertilizzata chimicamente».
A questo riguardo viene in mente l’enorme quantità di pesci morti nel Mar Minore di Murcia, sulla costa mediterranea, dopo le grosse inondazioni di un anno fa: le acque reflue trasportarono i fertilizzanti chimici al mare provocando la morte per mancanza di ossigeno di migliaia di pesci.
La terza dimensione che Oteros-Rozas evidenzia è quella politica. Ed è decisamente inquietante.
«È stato scoperto da molto tempo – afferma – che una popolazione concentrata nei centri urbani offre al capitalismo grandi vantaggi. Il controllo sociale, ad esempio, è molto più facile da esercitare su popolazioni concentrate che su quelle disperse».
E dopo aver apportato numerosi argomenti, la conclusione alla quale perviene è: «Se nessuno abita un territorio e vi esercita il proprio stile di vita e di sostentamento, nessuno difenderà quel territorio, abbandonandolo così ad uno sviluppo insostenibile».
Tutti insieme questi aspetti hanno poi notevoli conseguenze culturali, poiché lo spopolamento apre ulteriormente il divario tra urbano e rurale. «Nella crisi globale che stiamo vivendo – conclude Oteros-Rozas – quella dei valori è tra le più dimenticate, ma è senza dubbio fondamentale. Una delle implicazioni è il discredito del sapere e dei valori contadini, della comunità e della cooperazione, che, sebbene abbiano perpetuato la vita per millenni, sono sempre più posti in una posizione di subalternità di fronte a modernità, individualismo e sviluppo».