Spagna, Irlanda e Norvegia riconoscono lo Stato della Palestina
Fino a martedì scorso, 28 maggio, dei 193 Paesi che fanno parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), 145 riconoscevano lo Stato palestinese. Si aggiungono poi il Vaticano, considerato Stato osservatore all’Onu, e anche la Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi, non appartenente alle Nazioni Unite.
Tra i Paesi “riconoscenti”, 8 appartengono all’Unione europea (Bulgaria, Cipro, Polonia, Rep. Ceca, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria), quasi tutti dell’area un tempo sotto l’influenza sovietica. Si capisce: se durante gli anni della Guerra Fredda Israele si era posizionato come alleato del blocco occidentale, la reazione dei Paesi dell’Europa orientale fu più amichevole nei confronti della Palestina.
Il primo Paese dell’Europa occidentale a riconoscere lo Stato palestinese fu la Svezia, il 30 ottobre 2014. Quel giorno la ministra degli Esteri svedese, Margot Wallström, dichiarava alla stampa: «Il governo svedese ha deciso oggi di riconoscere la Palestina come Stato. La ragione principale è che ritiene che i criteri del diritto internazionale per il riconoscimento degli Stati siano soddisfatti. C’è un territorio, una popolazione e un governo». E poi finiva: «Siamo pronti a prendere l’iniziativa. Speriamo che questo indichi la strada anche ad altri».
Sono passati dieci anni fino a quando altri tre Paesi occidentali, due di loro appartenenti all’Ue, hanno riconosciuto l’esistenza dello Stato palestinese. Non l’hanno fatto in modo solenne, tutti e tre insieme, ma sì coordinati e in contemporanea. Lo stesso giorno, il 28 maggio, i governi dell’Irlanda, la Norvegia e la Spagna hanno approvato il protocollo per stabilire piene relazioni diplomatiche con la Palestina.
Sono fluiti fiumi d’inchiostro sull’opportunità o gli interessi elettorali di queste adesioni, giorni prima delle elezioni europee. Una voce forse più autorevole, quella di Jesús A. Núñez Villaverde, co-direttore dell’Istituto per gli studi sui conflitti e l’azione umanitaria (IECAH), si mostra piuttosto scettica in un articolo pubblicato sul quotidiano El Debate: «Con una prospettiva realistica, è più facile identificare ciò che il riconoscimento della Palestina non comporterà. Nessuno dei tre Paesi citati ha abbastanza peso sulla scena internazionale per ottenere ciò che gli oltre 140 che l’hanno fatto prima non sono riusciti a ottenere: la cessazione delle ostilità a Gaza (senza dimenticare la Cisgiordania) o l’ingresso massiccio di aiuti umanitari. Tanto meno è possibile dare subito un contenuto reale alla logora formula dei due Stati, dato che la strategia dei fatti compiuti praticata per decenni dai successivi governi israeliani, con l’esplicito sostegno americano e la passività di molti altri, ha fatto inviabile l’esistenza di uno Stato palestinese sovrano, degno di questo nome».
Teniamo però viva la speranza nel valore delle dichiarazioni istituzionali, come quella del primo ministro spagnolo Pedro Sánchez: «Non è solo una questione di giustizia storica rispetto alle legittime aspirazioni del popolo palestinese, è una necessità perentoria se vogliamo raggiungere la pace. È l’unico modo per procedere verso la soluzione che riconosciamo possibile: uno Stato palestinese che coesiste con Israele in pace e sicurezza».
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